Economia

L’Italia e le riforme per la crescita: ora o mai più

FinanciaLounge

Germania in frenata, ma le riforme di Schroeder di 15 anni fa possono essere una solida base per ripartire. L’Italia ora gode apprezzamento sui mercati, ma...

L’Italia e le riforme per la crescita: ora o mai più

Nel terzo trimestre del 2019 l’economia tedesca, da tutti considerata la locomotiva europea, rischia di entrare in ‘recessione tecnica’, vale a dire due trimestri consecutivi di PIL con il segno meno davanti, anche se di un decimale o due. Se la locomotiva rallenta e rischia di fermarsi è un guaio per tutti gli altri vagoni, e di questi il più esposto è sicuramente l’Italia. Non solo perché la seconda manifattura d’Europa è molto dipendente dagli ordini che arrivano dai colossi industriali tedeschi, ma anche perché è strutturalmente meno attrezzata sia per sfruttare il vento in poppa della congiuntura economica favorevole, sia per contrastare gli effetti negativi delle ventate avverse. E questo fattore fa tutta o quasi la differenza tra i due paesi, che rappresentano il motore della produzione manifatturiera di tutto il continente. La Germania infatti si è attrezzata per tempo, con una serie di riforme varate nel 2003 dall’allora cancelliere Gerhard Schroeder che andavano sotto il nome di agenda 2010. Angela Merkel ci ha vissuto di rendita per tutti gli anni dell’espansione globale seguita alla Grande Crisi del 2008-2009 e ora che tutto il globo rallenta ci può ancora fare affidamento per affrontare meglio attrezzata i venti contrari che soffiano dalla guerra dei dazi.

LA GERMANIA MANIFATTURIERA FRENA MA LE COSTRUZIONI CORRONO

L’agenda di Schroeder era fatta di tagli sostanziali alle tasse, ma anche di tagli drastici a pensioni, sanità e sussidi di disoccupazione. In aggiunta una riforma profonda del mercato del lavoro e una serie di incentivazioni soprattutto fiscali per migliorare l’accesso delle piccole e medie imprese tedesche al mercato dei capitali. Il tutto ha aiutato la Germania a cavalcare con successo l’onda lunga della globalizzazione a trazione cinese, infilando un decennio di importanti surplus commerciali. Ora il vento è cambiato, Trump ha dichiarato alla Cina la Guerra dei dazi e la Germania si è trovata nel mezzo del fuoco incrociato. Ma proprio grazie alle riforme di 15 anni fa sembra in grado di superare le difficoltà con una ricetta fatta soprattutto di investimenti in infrastrutture e economia verde. Infatti, mentre la Germania manifatturiera frena, quella delle costruzioni è in pieno boom, con una crescita lorda che punta a sfiorare il 9% nel 2019 e a una crescita del 5% l’anno prossimo. L’Italia, come spiega Alessandro Tentori Cio AXA IM Italia, non ha avuto il suo Schroeder, non ha cavalcato più di tanto l’onda espansiva dell’ultimo decennio e ora si è fermata, anche se la svolta europeista del nuovo governo ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai mercati.

LA NUOVA LINEA VON DER LEYEN CON GENTILONI MA ANCHE IL FRENO DI DOMBROVSKIS

La crescita debole non è solo un problema dell’Italia ma di tutta l’Eurozona. Ursula van der Leyen, presidente della Commissione europea, lo sa bene, e sta imprimendo una svolta in direzione della liberazione di risorse, anche in deficit, per gli investimenti. Il neo commissario all’Economia, l’italiano Gentiloni, ovviamente vorrebbe premere al massimo l’acceleratore, ma il suo cane da guardia, il vice presidente lituano Dombrovskis, preferisce il freno. Per fortuna la Bce sta passando dalle mani di Draghi a quelle della Lagarde nel segno della continuità nelle misure di stimolo monetario all’economia. Ma questo vale nel breve termine: tutto bene, i mercati apprezzano. Ma il lungo periodo, quello a cui guardano gli investitori, è una storia diversa. Se l’Italia continua a crescere negli anni a venire tra lo zero e lo 0,5% potrà disporre di margini molto ridotti nel caso la recessione arrivi davvero e sia magari un po’ più pesante di una semplice contrazione tecnica. Il tempo perso a non fare le riforme su cui fondare una nuova prospettiva di crescita va recuperato il più rapidamente possibile, soprattutto sui tre fronti cruciali delle tasse, del mercato del lavoro e del disboscamento burocratico, che oggi sono tre freni a mano tirati.

BOTTOM LINE

La svolta europeista e l’arrivo di Gentiloni nella stanza dei bottoni della politica economica di Bruxelles sono ovviamente piaciuti al mercato, e possono anche spingere lo spread a scendere fino a 120 punti, come anticipato su FinanciaLounge. Ma il vento in poppa va sfruttato per mettere mano alle riforme, generando quella fiducia di lungo periodo che alla fine è il vero motore di tutte le riprese economiche.