Economia
La Cina apre la guerra delle valute, ma può farsi male per prima
Lo yuan non può ancora aspirare al ruolo di valuta di riserva perché ancora non pienamente convertibile
Da tempo la guerra valutaria incombeva sulle trincee della guerra dei dazi tra Usa e Cina e ora sembra essere stata ufficialmente dichiarata con la rottura della soglia di 7 yuan per dollaro, da molti considerata una specie di linea del Rubicone, una volta valicata la quale si passa dalle dichiarazioni bellicose alla guerra guerreggiata. In pratica i cinesi rispondono alle raffiche di dazi di Trump non solo con le stesse armi, vale a dire erigendo barriere alle importazioni di prodotti agricoli, ma anche con la svalutazione, che in qualche modo ‘sterilizza’ i dazi e le tariffe abbassando i prezzi dei suoi prodotti sui mercati in cui esporta. Le implicazioni di una guerra valutaria guerreggiata, la cui possibilità è stata più volte anticipata da FinanciaLounge, non sono del tutto chiare, anche perché appare, almeno per ora, difficile che vengano schierate le truppe corazzate e i cacciabombardieri, vale a dire le Banche centrali con la loro potenza di fuoco sul mercato mondiale del forex. Ma quello che fin da ora sembra abbastanza chiaro è che la Cina rischia di farsi molto più male rispetto ai danni che può infliggere agli avversari. Vediamo perché.
NEL 2016 ENTRATA NEL CLUB DELLE MONETE DI RISERVA DEL FMI
La moneta cinese, il renminbi o yuan che dir si voglia, a differenza di euro, dollaro, yen, etc., non è una valuta pienamente convertibile. Infatti ne esistono due. Quello che viene trattato nella Cina continentale, e il cosiddetto yuan offshore, scambiato soprattutto a Hong Kong. Fino al 2005 la Cina ha tenuto la sua moneta ancorata al dollaro americano, poi ha cominciato ad allentare le briglie e a lasciarlo rivalutare coerentemente con il peso sempre più grande che la sua economia aveva sul complesso dell’economia mondiale, lasciandolo fluttuare limitatamente non solo contro il dollaro, ma nei confronti di un basket delle principali valute. Questo ha piano piano trasformato lo yuan in una valuta usata negli scambi internazionali, e non solo più per quelli interni, fino a diventare nel 2013 l’ottava valuta più scambiata del mondo. Il percorso verso uno status e una dignità di valuta globale segnò un passo importante il primo ottobre del 2016, quando lo yuan fu la prima moneta emergente ad essere ammessa nel basket dei Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario, praticamente il certificato che poteva diventare una moneta globale di riserva.
GLI INVESTITORI INDOTTI A FUGGIRE VERSO PORTI SICURI
Avere una moneta globale di riserva è sicuramente tra i requisiti necessari per pensare di sfidare gli Stati Uniti sul piano della supremazia economica e tecnologica globale. Ma se invece sei pronto a utilizzare la tua moneta come un’arma nella guerra dei dazi, potresti finire con lo spaventare gli investitori che ci hanno creduto, e che ora rischiano di perdere soldi a causa di svalutazioni ‘politiche’ e non dettate da ragioni fondamentali. È vero che anche altri grandi paesi, dagli stessi Stati Uniti all’Eurozona fino alla Gran Bretagna hanno giocato dopo la grande crisi a svalutare le rispettive monete con il Quantitative Easing e i tassi portati a zero o sottozero. Ma si trattava di un effetto collaterale di misure decise per evitare il collasso delle economie e dei sistemi finanziari. Inoltre, dollaro, euro e sterlina, come lo yen giapponese e i dollari di Canada, Australia e Nuova Zelanda, hanno una lunga e collaudata storia di valute di riserva, e non hanno bisogno di convincere gli investitori che possono fidarsi. Infatti la prima meta dei capitali usciti dallo yuan dopo la rottura di quota 7 dollari è stato lo yen nipponico.
L’USO DISINVOLTO DELLA VALUTA PUÒ ESSERE PERICOLOSO
Se per i mercati la rottura di quota 7 yuan per dollaro può rappresentare l’inizio di una guerra valutaria, sicuramente manca all’appello almeno finora una dichiarazione di guerra ufficiale. Anzi, la Bank of China ha fatto sapere che la svalutazione è un effetto delle forze di domanda e offerta sul mercato, che sono a loro volta influenzate dai timori sugli effetti della Guerra dei Dazi.
Un uso disinvolto della propria moneta, perlopiù non ancora del tutto ammessa nel club esclusivo delle valute globali di riserva, rievoca scenari da mercati emergenti, con i capitali che fuggono da una moneta locale giudicata inaffidabile e cercano rifugio nei soliti porti sicuri: yen, dollaro, euro e titoli del Tesoro americani. Non certo uno scenario che può aumentare la fiducia in un grande paese che vuole accreditarsi come potenza economica globale in grado di sfidare l’America.