Economia
Lavoro, "inverno caldo": al Mise si cercano soluzioni alle crisi aziendali
Da Pernigotti a Ball Beverage Packaging, da Bakaert a Comital, da Nokia a Piaggio Aerospace sono centinaia gli esuberi già annunciati
Complice il rallentamento economico già segnalato, tra gli altri, dall’Istat, secondo cui il Pil a fine 2018 crescerà dell’1,1% (e non più dell’1,4% come precedentemente stimato), mentre l’anno venturo crescerà dell’1,3% (e non dell’1,5% come spera il governo, che per l’anno in corso ha previsto una crescita dell’1,2%), al Ministero dello Sviluppo economico retto dal vicepremier Luigi Di Maio si accumulano i dossier di crisi aziendali.
Si va dunque verso un inverno “caldo” per il mercato del lavoro in Italia: l’ultimo tavolo apertosi, in ordine di tempo, è quello dello stabilimento Ball Beverage Packaging Italia (l’ex Rexam Beverage Can) di San Martino sulla Marrucina (Chieti), dove lavora una settantina di dipendenti a cui è stata comunicata la chiusura dello stabilimento che produce lattine di alluminio, aprendo una procedura di licenziamento che rischia di mandare tutti a casa proprio il giorno di Natale. Il vice capo di gabinetto del Mise, Giorgio Sorial, ha già proposto 12 mesi di cassa integrazione con l’obiettivo di mantenere in vita il sito produttivo, tanto più che l’azienda veronese proprietaria dell’impianto non si trova in crisi, avendo visto lo scorso anno il fatturato superare i 140 milioni di euro contro i poco più di 131 milioni del 2016 e l’utile salire a 2,9 milioni (da 2,3 milioni).
Chiusura apparentemente inevitabile per lo stabilimento di Novi Ligure (Alessandria) della Pernigotti, passata negli anni dalla famiglia fondatrice agli Averna e da questi agli imprenditori turchi Toksoz, che hanno smentito di voler portare la produzione Turchia e ribadito di non voler cedere l’impianto, nonostante si sia già fatto avanti per rilevarlo Riccardo Piacenza, imprenditore tessile di Fubine (sempre in provincia di Alessandria), ma hanno avviato le procedure per 100 licenziamenti intendendo demandare ad un nuovo partner industriale italiano (ancora da selezionare) la produzione.
Per scongiurare i licenziamenti i sindacati chiedono 2 anni di cassa integrazione per ristrutturazione aziendale, così che “la fabbrica rimanga aperta, continui a produrre e possa poi essere nel caso ceduta a imprenditori che abbiano un progetto industriale serio”. 110 sono invece le lettere di licenziamento spedite a inizio ottobre da Nokia-Alcatel, un’ottantina delle quali, ossia circa la metà del personale precedentemente trasferito da Cassina de’ Pecchi, ai lavoratori del polo Ict di Vimercati (Monza Brianza), nell’ambito di un piano di taglio dei costi per 900 milioni di euro già annunciato nel 2016 e sul quale era sembrato possibile un accordo coi sindacati ancora la scorsa estate. Il gruppo finlandese ha però rigettato la richiesta di cassa integrazione e confermato i licenziamenti.
128 erano i lavoratori “sospesi” a zero stipendio da Comital e Lamalu, dichiarate fallite lo scorso giugno, e rimasti senza alcun tipo di ammortizzatore sociale. Dopo che il primo bando per vendere le aziende era andato deserto il 2 ottobre scorso, il governo ha reintrodotto con un emendamento al “decreto Genova” la cassa integrazione per cessazione, della durata di un anno (di cui potranno ora godere anche i 318 licenziati da Bekaert), mentre ai curatori fallimentari sarebbero giunte “manifestazioni di interesse da parte di diversi investitori, soprattutto stranieri” come ha spiegato in Parlamento il sottosegretario per il Lavoro e le politiche sociali, Claudio Durigon.
Se per Comital-Lamalu ma anche per Bekaert (e Pernigotti) la speranza è di riuscire ad avviare una reindustrializzazione, nel caso di Piaggio Aerospace di Villanova d’Albenga (Savona) la proprietà (il fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, Mubadala Development) ha appena presentato al Mise domanda per poter accedere alla procedura di amministrazione straordinaria, adducendo come ragione lo stato di insolvenza. Con 438 milioni di perdite accumulate e 1.200 dipendenti tra Villanova d’Albenga e Genova (per 600 dei quali, non impegnati in attività produttive, scatterà la cassa integrazione), il commissariamento appare dunque dietro l’angolo mentre il futuro resta nebuloso, anche se forse qualcosa di più si saprà il 7 dicembre data per la quale azienda e sindacati sono stati convocati al Mise.
Per ora i presupposti del piano di risanamento lanciato alla fine del 2017, dopo il fallimento del precedente piano del 2013, non si sono verificati a causa, secondo l’azienda, del permanere di condizioni di mercato incerte e in particolare della mancata concretizzazione di una commessa per 20 droni P.2HH in 16 anni del valore di 766 milioni (circa 48 milioni all’anno) , commessa che interessa anche a Leonardo, coinvolta nel progetto P.2HH (ma anche nel progetto gemello europeo Euro Male, sviluppato con Airbus e Dassault) attraverso una partnership ancora da formalizzare ma che potrebbe essere all’incirca paritetica.
Una commessa fortemente “sponsorizzata” sia dai vertici militari sia dall’ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ma anche dall’attuale titolare del ministero, Elisabetta Trenta (che in un’interrogazione parlamentare ha ribadito la sua “piane approvazione” pur ribadendo il ruolo e la competenza delle commissioni Difesa di Camera e Senato), che però non convince tutti gli esperti del settore, alcuni dei quali paventano il rischio che l’Italia acquisisca a caro prezzo una tecnologia destinata ad essere già superata quando il drone diverrà operativo (non prima del 2022), a fronte dell’incertezza circa la reale sostenibilità economica del programma anche se dovesse giungere come promesso una commessa analoga a quella italiana da parte araba.
Parlando di sostenibilità economica non si può poi fare a meno di ricordare che sullo sfondo resta la vicenda legata al possibile scorporo della rete fissa di Telecom Italia e al suo conferimento ad una Newco dove confluirebbe anche la rete di Open Fiber (società al 50% di Enel e al 50% di Cdp, che è anche azionista di Tim col 4,26%). L’ipotesi piace al governo e al fondo Elliott (che di Tim ha l’8,85%), molto meno a Vivendi (23,94% di Tim) che potrebbe a breve cercare di ribaltare i rapporti di forza in seno al Cda e riportare in sella Amos Genish, da poco esautorato in favore di Luigi Gubitosi.
Prima che ciò accada la rete potrebbe essere scorporata, ma l’interrogativo principale è: quanti dipendenti la seguiranno? Ventimila, venticinquemila, trentamila? La risposta dovrebbe legarsi ancora una volta alla sostenibilità del business e dunque alla valutazione della rete stessa e alla redditività del business collegato. Ma non è detto che considerazioni squisitamente politiche non finiscano per prevalere, per Tim come per Piaggio o per tutte le altre crisi che Di Maio e il suo ministero si troveranno a dover gestire in un inverno che si preannuncia particolarmente “caldo”.