Economia

Batterie auto elettriche, serve gigafactory: Italvolt e Stellantis i candidati

di Ulisse Spinnato Vega

È necessario costruire un fabbrica per la produzione di batterie per auto elettriche in modo che l'Italia non sia dipendente dall'estero nella transizione eco

Batterie auto elettriche, serve gigafactory: Italvolt e Stellantis i candidati

Se si vira con decisione verso la manifattura di auto elettriche, allora diventa strategico avere impianti di produzione delle batterie per non dipendere dall’estero, soprattutto dall’Asia, e non rimanere ai margini del settore automotive. Certo, poi c’è anche il problema dell’approvvigionamento di materie prime sempre più rare e preziose, dal litio al nichel, dal cobalto al manganese, visto l’incremento della domanda globale. Tuttavia, il riciclo e il ricorso a batterie rigenerate rappresentano uno scenario sempre più realistico. Il Pnrr, che dedica oltre 6 miliardi di euro alle infrastrutture per la mobilità sostenibile, riserva appena un miliardo per l’industria nazionale delle batterie, del solare e dell’eolico: un capitolo dentro cui dovrebbero inserirsi i progetti delle gigafactory, ossia le fabbriche di accumulatori per la propulsione dei veicoli elettrici.

Dunque, mentre il mondo corre, l’Italia rischia di restare indietro. Come al solito. Eppure qualcosa si muove anche qui. Da una parte, c’è la società Italvolt del discusso manager svedese Lars Carlstrom che ha promesso di investire 4 miliardi nel sito della ex Olivetti di Scarmagno, vicino Torino, per un impianto, il primo in Italia, che dovrebbe raggiungere i 45Gwh e creare 3.500 posti di lavoro diretti, oltre a 10mila di indotto. L’avvio della costruzione della gigafactory è previsto per l’anno prossimo e nel 2024 dovrebbe partire la produzione di batterie. Tutto bene? Insomma, ci sono degli elementi che destano perplessità. Italvolt, malgrado il nome, ha sede sia a Milano che a Coventry, nel nord dell’Inghilterra. Su questo l’azienda precisa che gli uffici oltremanica sono stati aperti solo per esigenze burocratiche e saranno presto chiusi.

Ma soprattutto Carlstrom ha alle spalle un passato abbastanza tormentato, con diverse attività imprenditoriali finite male e alcune pendenze giudiziarie per debiti, anche modesti, che poi comunque ha saldato, come garantisce egli stesso al nostro giornale. "E sto investendo 5 milioni di soldi miei su Italvolt", puntualizza il manager.

Dall’altra parte, tutti guardano a Stellantis, il nostro colosso dell’automotive che ha deciso di cavalcare la svolta della transizione ecologica. Pochi giorni fa, dopo un incontro al Mise con i ministri Giancarlo Giorgetti e Andrea Orlando, l’azienda ha annunciato che produrrà vetture elettriche anche a Melfi, in Basilicata, e che sarà prevista in loco l’attività di assemblaggio delle batterie. In termini di valore aggiunto, però, mettere assieme pezzi prodotti altrove non è lo stesso che produrre in proprio. Stellantis ha già progetti per due gigafactory in Francia e Germania, in joint venture con una controllata di TotalEnergies.

Adesso, “il terzo impianto europeo dobbiamo farglielo costruire in Italia”, spiega ad Affaritaliani.it Simone Marinelli, coordinatore del settore automotive per Fiom. Sì, ma dove? Per Roberto Di Maulo, segretario nazionale Fismic, la gigafactory “bisogna farla a Torino e dentro Mirafiori”, quindi “sarebbe sbagliato farla al Sud, sia per problemi logistici che economici. A Melfi si andrebbero a occupare metri quadri sottratti alla nuova linea, mentre a Mirafiori gli spazi non mancano”. Ecco delinearsi il solito conflittuccio domestico Nord-Sud: rischiamo di avvitarci nelle classiche beghe da cortile che poi finiscono per spaventare gli investitori e ci fanno perdere terreno a livello globale? Nel caso di Stellantis, l’opzione Spagna, a scapito nostro, è dietro l’angolo. Marinelli è consapevole dei rischi insiti nella sindrome dei capponi di Renzo e ribadisce: “Dobbiamo evitare di mettere in contrapposizione lavoratrici e lavoratori: serve una visione globale dell’azienda, del suo ruolo in questo Paese e dobbiamo discutere delle mission produttive di tutti gli stabilimenti, con un occhio di maggiore attenzione alla situazione delicata degli impianti che producono motori diesel”.

Intanto, anche la politica si occupa del problema e le pressioni localistiche non mancano. Così, mentre il deputato M5S della Commissione Attività produttive, Luca Sut, vola alto e non transige sul fatto che l’Italia debba avere “la propria gigafactory, un polo di ricerca e sviluppo, oltre che di produzione delle batterie, in grado di realizzare accumulatori sempre più innovativi e pensati in chiave circolare”, in realtà si è già creato un asse politicamente trasversale tra i parlamentari piemontesi che sostengono l’opzione Torino. La risposta degli eletti lucani non potrà forse essere altrettanto forte e organizzata, per ovvi motivi legati ai numeri. E uno di loro, il pentastellato Luciano Cillis, dapprima usa il fairplay: “L’importante è che si faccia una gigafactory in Italia e che si mantengano investimenti e livelli occupazionali”. Ma poi tira fuori gli artigli: “Se la produzione di batterie diventa conditio sine qua non per mantenere in vita uno stabilimento, allora permettetemi di difendere Melfi, il sito più produttivo in Italia con modelli come Punto o Renegade che hanno tenuto in piedi la Fiat”. Avanti così, intanto la Spagna si frega le mani.