Economia
Mediobanca come la "palude" Tim, scenario Bollorè per Del Vecchio
Mediobanca sarà per Leonardo del Vecchio quello che Mediaset e Telecom sono diventate per Vincent Bolloré, ovvero una costosa e snervante guerra di posizione che, a fronte di un investimento miliardario, non ha fornito adeguate contropartite, a partire dalla governance?
Il rischio, commentano alcuni operatori di borsa, esiste perché il patron di EssilorLuxottica, ufficialmente salito il mese scorso al 6,94% ma che da allora secondo fonti di mercato avrebbe ulteriormente arrotondato la partecipazione avvicinandosi alla soglia del 10% (che farebbe scattare sia l’obbligo di ulteriore comunicazione alla Consob sia di richiesta di autorizzazione alla Bce per superarla), non sembra avere finora quell’ampio seguito per sperare di vedere accolta la sua richiesta a Piazzetta Cuccia di ricercare “altre fonti di reddito” oltre agli utili generati da Compass e Generali “per soddisfare tutti gli azionisti”. Così il suo pressing sulle strategie future rischia di non avere esito.
Nel capitale di Mediobanca, anzitutto, il 74% degli azionisti è rappresentato da investitori istituzionali, tra cui molti fondi internazionali come BlackRock (al 4,98% circa a fronte di un 26% del capitale di Piazzetta Cuccia complessivamente in mano a investitori istituzionali americani) che non sembrano essere scontenti né del top management né dei risultati (superati ampiamente i target) da questi conseguiti e non c’è di che stupirsi: il titolo, anzitutto, ha guadagnato il 26% abbondante negli ultimi 12 mesi, riportandosi sopra i livelli di carico di alcuni azionisti storici come Unicredit (che ha la partecipazione iscritta a bilancio a 8,89 euro contro i 9,96 euro a cui oscilla il titolo stamane). E il rendimento da dividendo è inoltre, a fronte di attese di consenso per una cedola di 48 centesimi quest’anno, ancora superiore al 4,8%, che di questi tempi è tutto meno che un cattivo rendimento.
Se non ci sono motivi impellenti appare difficile che molti investitori istituzionali approvino un ribaltone come quello che sembrerebbe voler proporre Del Vecchio che solo per salire sopra il 10% dovrebbe comunicare a Francoforte tutti i dettagli futuri del suo piano "finanziario-industriale". Oltretutto, se per Generali le critiche di Del Vecchio hanno del fondamento visto che congelano risorse (seppur con un ritorno sul capitale del 15%) che potrebbero essere impiegate per una crescita spinta della merchant bank, in Compass la strategia è stata quella di fornire un contraltare stabile alla volatilità tipica a cui sono soggette invece le attività di investment banking.
Ecco perché l’imprenditore veneto starebbe iniziando le grandi manovre in vista (e anche per dopo) dell’assemblea del prossimo 28 ottobre, da un lato reclutando il proxy advisor Georgeson per illustrare le proprie proposte ai piccoli azionisti e portarli dalla propria parte (agli investitori retail fa capo il 26% di Mediobanca).
Dall’altro, secondo alcune voci di borsa, starebbe sondando non solo i grandi come Unicredit (8,81% di Piazzetta Cuccia e che ha lo stesso Del Vecchio tra i soci con un 2%) o Bolloré (7,86%), ma anche soci più piccoli che considerano la partecipazione puramente finanziaria e quidi disposti a uscire a tempo (e prezzo) debito.
Ammesso e non concesso che dalla Vigilanza arrivi il via libera a salire sopra il 10%, per Del Vecchio il rischio sarebbe di restare a metà del guado. Rilevare, ad esempio, le quote sia di Unicredit sia di Bolloré e sommarle ad un proprio 10% vorrebbe dire arrivare a sfiorare il 26,7% di capitale, con un investimento decisamente “pesante” da circa 2,35 miliardi ai prezzi attuali.
Esclusi i pasdaran del blocco Doris-Berlusconi pronto a mettere altre munizioni in difesa della linea di Alberto Nagel, se a quel punto non ci fosse un’adesione plebiscitaria dei “piccoli” (per esempio Gavio, da sempre legato all'istituto, nel frattempo ha leggermente rafforzato la sua quota e i Benetton non sembrano propensi a schierarsi nonostante partecipino con Del Vecchio all'avventura Generali) o se i fondi si schierassero a favore della conferma dell'attuale vertice e della sua strategia, Del Vecchio dovrebbe accontentarsi di incassare fino a 110 milioni di euro di dividendi all’anno da un simile investimento, senza però entrare nella stanza dei bottoni. E senza spuntare definitivamente le unghie a Mediobanca nel determinare i destini futuri del Leone di Trieste.
C’è di peggio nella vita, ma potrebbe essere un risultato poco soddisfacente per chi non si è mai accontentato di salire sul secondo gradino del podio.