Economia

Mediobanca, piccoli soci con Nagel. Come il Ceo ha legato gli azionisti

Se fondi come BlackRock e Invesco guardano al rendimento complessivo del loro investimento,per molte grandi famiglie del capitalismo italiano contano gli affari

Nella possibile guerra di schieramenti tra soci a favore o eventualmente contro l’attuale management di Mediobanca, non tutto dipenderà dall’umore dei fondi d’investimento, peraltro grandi azionisti di Piazzetta Cuccia (nel complesso detengono il 74% del capitale) ed abituati da sempre a contare le azioni più che a pesarle. Decidere di mantenere una partecipazione e sostenere il top management in carica per un investitore instituzionale come BlackRock, appena scesa dal 5,016% al 4,999% del capitale e pertanto esentata dal comunicare ulteriori movimentazioni della partecipazione finché non supererà nuovamente il 5%, non è una decisione presa su base “politica”, ma eminentemente finanziaria.

mediobanca
 

I gestori sono in sostanza interessati a due possibili fonti di guadagno: il rendimento in termini di dividendi e il possibile apprezzamento del titolo in borsa. Sotto questo profilo i fondi possono essere più che soddisfatti di Alberto Nagel e dei suoi manager: negli ultimi 12 mesi il titolo ha infatti guadagnato il 37% (poco meno del 7% solo nell’ultima settimana) salendo a 10,62 euro per azione, il consensus è ampiamente favorevole (su 12 report emessi 7 sono positivi, con 6 “buy” e un “outperform”, 4 sono neutrali, “hold”, e solo uno è negativo con un “underperform”) e il prezzo obiettivo di consenso resta leggermente superiore alle quotazioni: 10,77 euro.

Il dividendo, è inoltre visto in leggera crescita rispetto allo scorso anno (in media ci si attende 48 centesimi di dividendo rispetto ai 47 che saranno distribuiti il 22 novembre di quest’anno sui risultati 2018), con un rendimento atteso del 4,5%, leggermente sotto i livelli dell’ultimo triennio (attorno al 5%) solo a causa dei continui incrementi delle quotzioni e comunque attualmente non ottenibile da alcun titolo di stato italiano (il trentennale rende al momento il 2,06%).

pesenti
 

Anche ampliando l’orizzonte, come hanno fatto gli analisti di Citigroup, il risultato non cambia: dal 2013 a oggi Mediobanca ha garantito un ritorno complessivo ai suoi azionisti (total shareholder return) del 160% circa, tra i cinque migliori ottenuti da banche europee. Certo, ogni investimento potrebbe rendere ancora di più, ma vista la spasmodica ricerca di rendimenti che ormai da mesi è stata messa in atto da parte degli investitori istituzionali sotto il peso di politiche monetarie ultrarilassate, per ottenere di più bisognerebbe assumersi maggiori rischi e questo non è detto sia l’obiettivo della maggior parte dei gestori.

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A far pendere la bilancia da parte di chi, come pare voler Leonardo del Vecchio (socio al 6,94% ufficialmente, intento ad avvicinarsi alla soglia del 10% ufficiosamente), propenderebbe per una gestione più “aggressiva” di Mediobanca, che torni a puntare sulle attività di banca d’investimenti e non solo sulle controllate Compass e Generali, piuttosto che di chi vorrebbe confermare l’impostazione e la squadra attuale saranno dunque, probabilmente, i “grandi azionisti”, a partire naturalmente da Unicredit (8,81%) e Vincent Bolloré (7,86%), entrambi apparsi disponibili a cedere i titoli ma non immediatamente.

benetton
 

Nel caso dei “grandi soci”, peraltro, la valutazione si complica perché oltre agli elementi presi in esame dai gestori, i vari Bolloré, Doris, Benetton e quant’altri possono e debbono valutare anche i legami esistenti piuttosto che il business che il management di Piazzetta Cuccia ha sviluppato e potrà ulteriormente sviluppare negli anni con ciascuno dei loro gruppi.

Tra le proprie partecipazioni, ad esempio, Mediobanca conserva un 6,7% di capitale nella Italmobiliare dei Pesenti, iscritta in bilancio per 61 milioni e se è vero che i Pesenti lo scorso anno sono usciti dal patto di sindacato che controllava il 28,47% di Piazzetta Cuccia, è anche vero che sono rientrati indirettamente nel patto “ligh” sul 20,94% del capitale essendo soci (al 14,3%) di Fin.Priv. Srl, che detiene 14,3 milioni di azioni Mediobanca (il 7,72% del patto ovvero l’1,62% del capitale dell’istituto).

Beniamino Gavio Lapo Elkann
 

Nel caso degli eredi Gavio (titolari a giugno di 5,85 milioni di azioni, il 3,15% del patto ovvero lo 0,66% del capitale della banca, cui si sono di recente sommati altri 350 mila titoli acquistati sul mercato che hanno portato la partecipazione allo 0,7%), Piazzetta Cuccia sotto la guida di Nagel ha più volte fornito assistenza, l’ultima nell’ambito della semplificazione della catena di controllo del gruppo che passerà per la fusione di Astm e Sias, operando in veste di advisor della stessa Sias, il gestore delle autostrade A4 Torino-Milano, A21 Torino-Piacenza-Brescia, A12 Sestri Levante-Livorno-Viareggio-Lucca-Fornola-La Spezia, A15 La Spezia-Parma, A5 Quincinetto-Aosta, A10 Savona-Ventimiglia, A6 Torino-Savona e A33 Asti-Cuneo.

Già in precedenza, tra il 2011 e il 2012, la regia e l’assistenza di Mediobanca erano state preziose per consentire la riorganizzazione delle partecipazioni autostradali nel Nord Italia e il passaggio, temporaneo, del controllo di Impregilo dai Benetton ai Gavio, prima che i Salini, nel 2013, riuscissero con un’Opa a prenderne il controllo (operazione alla quale finirono con l’aderire anche i Gavio, ricavandone 450 milioni per il loro 29,96% di capitale, con una plusvalenza di 68 milioni). Si radica negli anni anche il rapporto coi Doris, che già hanno espresso il proprio sostegno a Nagel e l’intenzione di aumentare la propria partecipazione.

Ennio doris ape
 

Nel 2001 nasceva infatti una joint-venture paritetica tra il gruppo Mediolanum e Piazzetta Cuccia per operare nel settore del private banking con clientala di fascia elevata. La quota di Mediolanum, che nel frattempo aveva avviato una propria divisione di private banking, fu poi riacquistata da Mediobanca nel 2016 per 141 milioni di euro. Chi potrebbe almeno in teoria “tradire” Mediobanca sono inece gli eredi Ferrero (proprietari dell’omonimo gruppo dolciario di Alba oltre che di 5,7 milioni di azioni Mediobanca, il 3,1% del patto e lo 0,65% del capitale della banca).

Piazzetta Cuccia aveva assistito il gruppo piemontese nel tentativo di mettere le mani sulla britannica Cadbury nel 2009, ma l’operazione non andò a buon fine. E quando nel 2015 Ferrero rilevò un altro gruppo britannico, Thorntons, per 112 milioni di sterline, ad assisterla furono Berwin Leighton Paisner (Blp) e Rothschild, non la banca di Nagel.

Giovanni Ferrero ape
 

Sullo sfondo restano da capire le mosse che potranno compiere i Pecci, i Lucchini, gli Angelini, i Seragnoli, gli Acutis e i Minozzi. In tutto possiedono poco meno di 20 milioni di azioni Mediobanca, ossia il 10,7% del patto (e circa l’1,8% del capitale dell’istituto), per un investimento complessivo che ai prezzi attuali vale circa 212 milioni di euro. Non certo una cifra alla portata di chiunque, ma meno di quanto risultava aver investito un singolo grande fondo come Invesco, che all’assemblea dello scorso anno si presentò con oltre 27,7 milioni di azioni, pari al 3,12% del capitale che oggi varrebbero quasi 295 milioni, sempre che i gestori non abbiano nel frattempo approfittato della crescita delle quotazioni per alleggerire la posizione.

Luca Spoldi