Economia

Melegatti, niente pandoro a Natale? E' crisi:operai senza stipendio e in cassa

Bollette non pagate. Staccato anche il gas. A rischio la produzione natalizia, stop fatale. Il management cerca un cavaliere bianco. Le ragioni della crisi

di Andrea Deugeni
twitter11@andreadeugeni

C'è già chi ironizza immaginando anche lo slogan pubblicitario, distorcendo vecchi ritornelli apparsi in passato sul piccolo schermo: "Il Natale senza Melegatti è più triste che mai". Amari adagi, amarcord di festività una volta felici, perché la crisi tutta finanziaria del gruppo scaligero, che da ben 123 anni con tanto di brevetto per l'invenzione rilasciato dal ministero dell'Agricoltura del Regno d'Italia sforna senza interruzione (anche durante il periodo delle due guerre) il pandoro, rischia di mandare all'aria la produzione del tradizionale dolce veronese per Natale. E dunque di non farlo arrivare sulle tavole degli italiani (anche di quelli all'estero visto che l'8% della produzione è destinata ai mercati oltre confine).

Dall'azienda, per bocca del presidente e amministratore delegato Emanuela Perazzoli (60enne avvocato della città nordestina, anche azionista), si sono affrettati a riconoscere il "momento di crisi", ma che il gruppo lo "aveva previsto e lo sta attraversando. Con il mese di novembre riprenderemo quota come deve essere e com'è sempre stato". Quindi, "il Natale 2017 è alle porte e gli italiani lo trascorreranno con Melegatti come è tradizione dal 1894". Insomma, rassicurazioni.

Sarà, ma per il momento le macchine impastatrici hanno i nylon sopra per proteggerle dalla polvere, gli operai (circa una novantina, per la maggior parte donne, più 200 lavoratori stagionali che si dividono sui due stabilimenti del gruppo: quello storico a San Giovanni Lupatoto e il più recente a San Martino Buon Albergo, entrambi in provincia di Verona) sono senza stipendio da due mesi e i fornitori non vengono pagati. Con l'azienda elettrica che ha staccato il gas a San Martino per bollette non saldate e problemi nell'approvvigionamento necessario delle materie prime e degli imballaggi per confezionare il pandoro. Tutto ciò significa che la cassa è a zero e servirebbero i capitali freschi di un cavaliere bianco che l'amministratore delegato ha assicurato essere alla porta.

Ma cos'è successo a questa eccellenza del made in Italy che ha il 15% circa del mercato dei prodotti di Natale, fattura 70 milioni (voce in crescita) a fronte di un indebitamento di circa 40 milioni, ma che da tre anni chiude in perdita e che è alle prese con un complesso piano di riposizionamento industriale dai tradizionali prodotti da forno da ricorrenza (da cui deriva circa il 70% del fatturato, percentuale che deve scendere nel prossimo quinquennio, da piano, al 35) a quelli continuativi, come le brioche e simili?

La sfida è quella difficile della sterilizzazione della stagionalità e della crescita e i mali arrivano da lontano: un azionariato molto diviso che da 10 anni non fa altro che litigare bloccando gli investimenti, errate scelte di marketing, la concorrenza dei competitor sempre più agguerrita che erode i margini e le difficoltà di messa a regime connesse all'ultimo investimento da 15 milioni di euro in cui la Melegatti ha aperto il suo secondo stabilimento. Un’area di 21 mila metri quadrati, 12 mila coperti, da dedicare interamente al settore dei croissant (200 milioni di pezzi all’anno, con una media giornaliera di circa 840 mila, impiegando 30-60 lavoratori a seconda del picco) con cui forse la Melegatti ha fatto il passo più lungo della gamba.

Proprio a causa dell'attivazione del nuovo stabilimento solo dalla fine di aprile, insediamento che è servito anche a integrare il personale dell’azienda di brioche rilevata nel 2010 da Melegatti a Mariano Comense, la produzione infatti ora è in ritardo di circa un mese e mezzo rispetto alla concorrenza, con la conseguenza che in estate i dipendenti hanno lavorato anche 63 ore a settimana con turni di 12-13 ore al giorno. Il tutto senza stipendio, condizione che ha fatto scattare pure gli scioperi.

La situazione, peggiorata quindi nell'ultimo anno, è critica. E' scattata la cassa integrazione fino al 31 ottobre e per i sindacati il colpevole ha un nome, quello del Ceo Perazzoli, parte della famiglia Turco che nel 2007 ha preso il controllo dell'azienda, dopo averlo diviso (50 e 50) con la famiglia Ronca, entrambi eredi  (dopo vari passaggi) litigiosi del fondatore Domenico Melegatti. Il nome della Perazzoli era anche figurato lo scorso aprile nella lista alternativa a quella del management uscente per il rinnovo del Cda in Cattolica Assicurazioni e ora le associazioni di rappresentanza dei lavoratori invitano l'imprenditrice a farsi da parte.

Secondo quanto riferito da Milano Finanza, la società ha chiesto alle banche finanziatrici (Banco Bpm, Bnl, Mps e Unicredit) di affiancarla nella ricerca del cavaliere bianco, dossier che già sta circolando tra gli operatori specializzati in ristrutturazioni, come Oxy Capital in accoppiata con Attestor, Europa Investimenti in tandem con Avenue Capital, il fondo Idea Corporate Credit Recovery gestito da Idea Capital Partners sgr e finanziato da Hig e il fondo Pillarstone Italy finanziato da Kkr.

Stando alle indiscrezioni, la vita residua di Melegatti, in assenza di novità, sarebbe di appena 15 giorni. Saltare poi la produzione e i ricavi natalizi sarebbe il colpo di grazia, costringendo il management a portare i libri in tribunale.