Economia
Moda, da H&M a Shein: sostenibilità di facciata. Boom del second hand
Mentre le griffe portano in scena la primavera estate 2024, a Barcellona l'organizzazione benefica Moda Re smista capi di seconda mano. Obiettivo: riciclare
Moda, i marchi griffati di prima mano hanno stufato: cresce la voglia di "usato"
Mentre le griffe portano in scena la primavera estate 2024, in un magazzino alla periferia di Barcellona un manipolo di donne sta ai nastri trasportatori e seleziona manualmente magliette, jeans e vestiti da enormi balle di abiti usati, per smistarli. L’organizzazione benefica a capo di tutto questo si chiama Moda Re ed è finanziata in parte da Inditex, proprietaria di Zara. Obiettivo: riciclare, riutilizzare. Verbi imperativi dopo che l’Unione Europea ha chiesto misure urgenti per combattere la iper produzione di vestiti del fast fashion: si stima che solo in Europa siano oltre 5 milioni di tonnellate ogni anno.
Circa 39.000 vestiti l’anno finiscono nell’arido deserto di Acatama, in Cile: famosa la foto da satellite che mostrava dune di indumenti, addirittura scarponi da sci. Meno nota, l’inchiesta fatta da Staffan Lindberg del quotidiano svedese Aftonbladet la scorsa primavera, per capire se i capi raccolti da H&M con destinazione riciclo, conversione o vendita nei mercatini dell’usato prendessero proprio quella direzione. Il reporter ne ha depositati dieci nelle apposite scatole di raccolta e li ha tracciati con una tecnologia blue-tooth. Secondo quanto riportato da Lindberg, buona parte dei capi sarebbe finita in Africa o in Asia, ma non per essere rivenduti, bensì per finire bruciata o dispersa in mare.
LEGGI ANCHE: Abiti second hand, code chilometriche a Milano (per poi rivendere su Vinted)
5,8 milioni di tonnellate di indumenti indossati meno di 10 volte
La moda fast fa i conti con il concetto di sostenibilità, che sprofonda di fronte ai circa 7.500 litri di acqua usati per produrre un paio di jeans. Non parliamo degli inquinanti contenuti in fase di colorazione: il colosso cinese Shein era stato stigmatizzato da Greenpeace nel 2022, dopo un’analisi su 47 capi che evidenziava quantitativi di sostanze tossiche superiori a quanto le normative europee ritenessero accettabile.
Shein era balzato ai disonori delle cronache, sempre lo scorso anno, dopo un’inchiesta di Channel 4 che evidenziava sfruttamento e vessazioni (4 cent a pezzo e decurtazioni dello stipendio in caso di errori ). Ma ciò non ha impedito che sfilasse a Parigi questa primavera, prendendo possesso del bellissimo Pavillon Cambon Capucines per la sfilata dei creativi di Shein X. Secondo le stime riportate in sede europea, i capi della moda veloce verrebbero indossati meno di dieci volte per poi deperire o essere buttati.
La #shoppingtherapy del second hand elimina i sensi di colpa
Per aggirare il problema, sedando la compulsione all’acquisto cui il mercato ci ha abituati, interviene il second hand. Il 9 settembre, a Milano, le code per entrare alla cooperativa Manoamano di Viale Espinasse erano lunghe: con 18 euro si potevano portare a casa tutti gli abiti capaci di entrare in una borsa di tela.
Un “all you can wear”, che promette di diventare fenomeno. Sì al riuso, no ai sensi di colpa, recitavano i claim della nuova #shoppingtherapy sostenibile. Sarà per questo che, secondo quanto riportato dallo store online statunitense di vestiti usati ThredUp, l’abbigliamento di seconda mano cresce a una velocità tripla rispetto a quello di prima mano, con un giro d’affari che dagli attuali 35 miliardi di dollari arriverà a toccare gli 81 miliardi in quattro anni.
Moda di seconda mano: + 217% entro il 2026 negli Usa. Ma anche qui crescita a due cifre
Ciò che accade negli Usa, fluisce anche qui come la Corrente del Golfo: se le previsioni parlano di un +217% oltre oceano è facile intuire che il trend qui sarà simile anche se più tardivo.
Per ora Boston Consulting Group traccia un valore preciso della moda second hand di lusso, ovvero dai 100 ai 120 miliardi con un tasso di crescita annuale del 20, 30%.
Ma il lusso non fatica a crescere nemmeno nella moda istituzionale: per il 2023 le analisi di Mc Kinsey prevedevano dal -2 al +3%, fra pandemie, sciagure, guerre.
Insomma, che sia attuale second hand, oppure pre-owned (in possesso di qualcuno ma usato poco) o pre loved, il mercato griffato anche se di secondo passaggio tira sempre.
Ma le App second hand funzionano anche nel medio basso
Non è un caso se Ebay ha aperto una sezione Imperfects, dedicato a capi e accessori considerati come nuovi ma con piccoli difetti, con sconti fino al 60%. Altro fenomeno in grande spolvero è Vinted, che funziona sull’offerta del classico usato con marchi che spesso appartengono al fast fashion. La famosa catena francese Decathlon ha avviato in Belgio un programma di ‘reverse shopping’, che significa riacquistare gli articoli dei clienti per dare loro una seconda vita. Lo specialista del second hand di articoli di lusso LePrix ha annunciato la propria espansione in Europa mentre l’italiana Lampoo è da poco arrivata negli Regno Unito.
Generazione Z in pole position
Secondo i dati di Morning Consult, relativi al mercato statunitense, i numeri sono impressionanti: il mercato del second hand nella moda rappresenta già dal 3% al 5% di quello globale ma potrebbe crescere crescere fino al 40%. Entro fine 2023 si prevede che gli articoli di seconda mano costituiscano già il 27% dei guardaroba. I consumatori della Generazione Z sono i più propensi ad acquistare (31%) e vendere (44%) articoli di seconda mano, mentre il 40% degli acquirenti considera l’usato come un modo per consumare moda in modo sostenibile, e altrettanti consumatori scelgono il mercato second hand per l’ampia scelta e i pezzi unici che offre. Un dato appare sbilanciato: a fronte di un 44% di pubblico che acquistava, c’era solo un 24% che vendeva (sempre Morning Consult sul 2022). Venditori di moda usata (o pre loved) cercansi!