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Economia
Mps, anche Axa molla Siena. E Generali si frega le mani. Rumors

La ormai pressoché inevitabile nazionalizzazione di Mps apre interrogativi inediti sul futuro dell’istituto senese e dei suoi azionisti e partner industriali. Secondo alcuni rumors rilanciati Oltralpe, ad esempio, Axa, finora socio al 3,17%, si lascerebbe diluire non avendo in portafoglio bond subordinati dell’istituto passibili di conversione forzosa nell’ambito dell’operazione di “burden sharing” prevista dalla normativa sul bail-in e che dovrà scattare prima di qualsiasi incremento della partecipazione del Tesoro (attualmente socio al 4%) nel capitale di Siena. Considerando che Assicurazioni Generali aveva già deciso di convertire i suoi bond (che nell’ipotesi di una ricapitalizzazione di mercato da 5 miliardi avrebbero portato Trieste all’8% circa del capitale post-aumento), occorrerà vedere quale svalutazione (“haircut”) sarà imposta agli obbligazionisti junior.

La conversione forzosa, in teoria, potrebbe estendersi anche ad alcune emissioni di debito senior non garantito (Mps stessa aveva segnalato come esistano al momento circa 16 miliardi di euro di debito idonei ad un’eventuale operazione di questo tipo) anche se l’ipotesi per il momento pare residuale. La norma sul bail-in prevede infatti che un aiuto di stato sia possibile previo addossamento ai capitali privati (nell’ordine azionisti, obbligazionisti junior ed eventualmente obbligazionisti senior, mentre in questo caso non corrono alcun rischio i correntisti, comunque tutelati sino a 100 mila euro a testa) dell’8% delle passività, ma nel caso di Mps, banca “sistemica”, è prevista la possibilità di una eccezione, che dovrà però essere autorizzata preventivamente da Bce e dall’Antitrust Ue, chiamati a validare il nuovo piano industriale e l’eventuale ristrutturazione dell’operazione di cartolarizzazione dei 27,7 miliardi di euro di sofferenze.

Per questo assieme ad Axa stanno ad osservare con attenzione l’evolversi dello scenario in Mps anche il fondo Atlante, che finora si era impegnato a sottoscrivere 1,6 miliardi netti sui 9 miliardi che avrebbe dovuto fruttare la maxi cartolarizzazione, peraltro esprimendo qualche riserva sulla congruità delle valutazioni, apparse agli operatori “fuori mercato” e necessarie solo per quadrare i conti della barocca operazione orchestrata, senza successo, da Jp Morgan e Mediobanca, e le banche che hanno apportato capitali in Atlante, in primis Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi Banca, quest’ultima coinvolta pure nel salvataggio di tre delle “good bank”, operazione per la quale pare necessario un intervento dello stesso Atlante per rilevare una tranche (si dice attorno ai 200 milioni) dei 2,7 miliardi lordi (tra 675 e 890 milioni netti) di Npl che andranno cartolarizzati.

Insomma: la nazionalizzazione, sia pure a tempo, di Mps riapre i giochi sia nello scacchiere bancario italiano, sia sul mercato dei crediti deteriorati, sempre più effervescente via via che la distanza tra le valutazioni offerte dai potenziali acquirenti, italiani e non, e quelle chieste dai venditori si avvicinano. Non può peraltro sfuggire come l’intera vicenda Mps suoni come una conferma dell’insipienza di una classe politica (e manageriale) che per anni ha preferito occultare la polvere sotto il tappeto per evitare di pagare un prezzo, col risultato di erodere gradualmente le fondamenta di banche e aziende italiane.

(Segue...)

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