Economia

Mps e l'ipotesi spezzatino veneto.Ubi guarda all'ex Antonveneta. Rumors

Un matrimonio Ubi-Mps sembra poco probabile quanto una integrazione tra Siena e Carige. L’ipotetica cessione dell’ex rete Antonveneta potrebbe avere più senso

Ubi Banca sottotono a Piazza Affari, dove il titolo dell’istituto lombardo scivola sotto i 2,35 euro dopo che negli ultimi giorni sono tornati a circolare voci di un possibile coinvolgimento nel futuro “risiko” di settore, ad esempio tramite un’aggregazione con Mps o Banca Carige. Ipotesi che i vertici dell’istituto continuano a smentire: parlando a Milano, Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca, ha ad esempio ribadito che “in questo momento e in questo contesto” non ci sono “le condizioni per operazioni di consolidamento bancario”.

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Ancora più esplicito Andrea Moltrasio, presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Bnca, secondo cui non esiste la possibilità che l’istituto intervenga a sostegno delle banche più deboli come Mps e Banca Carige. Moltrasio ha voluto anche precisare che contrariamente alle voci di borsa la banca non sarebbe stata contattata dal Tesoro sulla questione, concludendo che “la preoccupazione per la situazione generale è condivisa, il fatto di essere considerati una banca sana sicuramente ci fa piacere”.

Se Ubi Banca, 2,8 miliardi di capitalizzazione circa, non pare disponibile a farsi carico di Banca Carige e dei suoi problemi (che potrebbero secondo alcuni operatori richiedere una ricapitalizzazione di almeno 500 milioni e non di 400 milioni come finora ipotizzato) né della banca senese in blocco, dato che in anche in questo caso sarebbe difficile evitare una ricapitalizzazione per poter procedere poi con l’acquisizione, industrialmente potrebbe invece essere interessante un’offerta mirata per parte della rete senese. Quale? Quella che fa capo all’ex-Antonveneta, radicata nel Nord Est, area in ripresa in cui Ubi Banca è presente in modo relativamente marginale.

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L’istituto guidato da Massiah disponeva a fine ottobre di 1.651 filiali in tutta Italia (erano oltre 2.000 ancora a fine 2016), avendo sostanzialmente già raggiunto l’obiettivo di “dimagrimento” della propria rete fissato dal piano industriale al 2020, avendo inoltre già tagliato da 22.518 a 20.612 i posti di lavoro (in questo caso l’obiettivo è di arrivare a circa 19.500 persone entro fine 2020). Storicamente presente in Lombardia, oltre che in Piemonte, Emilia Romagna e più limitatamente in Liguria e Triveneto, con l’acquisizione di Banca Popolare di Ancona, Banca Carime e delle ex Banca delle Marche, Banca dell’Etruria e del Lazio e Cr Chieti l’istituto si è poi espanso anche in Centro Italia.

L’ex rete Antonveneta per contro è concentrata proprio tra Veneto (quasi 300 filiali) e Friuli Venezia Giulia (una sessantina di sportelli), oltre a modeste presenze in Piemonte e in Sicilia (una decina di sportelli in ciascuna), per cui il rischio di sovrapposizioni sarebbe minimo. Il Tesoro, socio al 68% di Mps, ha per contro poche alternative di fronte essendo ormai esclusa una fusione tra le due “medie malate” del sistema bancario italiano, Mps e Banca Carige appunto, dato che l’operazione non piace alla vigilanza Bce.

L'Eurotower teme che aggregare due istituti deboli sotto il profilo patrimoniale (Carige a fine marzo 2018 registrava un Cet1 del 12,1%, Mps del 14,4%) e dell’esposizione ai crediti deteriorati non sia una buona idea ed anzi aumenti il rischio di esecuzione della già di per sé impegnativa ristrutturazione della banca senese, che per ottenere il via libera alla ricapitalizzazione “precauzionale” si impegnò a suo tempo a non realizzare operazioni di fusione e acquisizione.

D’altra parte il Tesoro dovrà illustrare entro giugno alla Commissione Ue la propria strategia di disimpegno (la presenza nel capitale di Mps dovrebbe infatti cessare entro il 2021 salvo proroghe), ma il nuovo rallentamento della crescita rischia di far emergere nuove crisi che si potrebbe cercare di prevenire solo risolvendo alla radice i problemi strutturali di un settore, quello del credito, che soffre dell’eccessivo numero di attori presenti sul mercato con offerte complessivamente ancora poco differenziate e una redditività ancora depressa (a fine 2017 il Roe medio del settore era pari al 4%).

L’esigenza di far nascere un terzo e forse anche un quarto “polo” è evidente, dunque, come ha ricordato ancora di recente il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Stefano Buffagni, ma il mercato (che segue anche l’evolversi della crisi di Banca popolare di Bari) è sempre rimasto freddo di fronte alle voci di possibili matrimoni tra banche popolari, tanto più in funzione “anti” Intesa Sanpaolo o “anti” Unicredit. Così l’ipotesi che alla fine si proceda a una ridefinizione del perimetro di Mps con la cessione di parte della rete o di altri asset “non core” per quanto formalmente non ancora formulata per più di un analista di borsa non può affatto essere esclusa.

Luca Spoldi