Economia

Mps esce dalla crisi e ora fa gola. Il jolly? Un leghista a Bruxelles

Morelli accelera il de-risking, mentre sulla poltrona di Commissario alla Concorrenza, cui il Tesoro dovrà indirizzare il piano d’uscita dal capitale...

Luglio è iniziato alla grande per Mps, il cui titolo a Piazza Affari ha messo il turbo (+30% nell’ultima settimana, seguito da un ulteriore +7% nella prima parte della mattinata odierna col titolo proiettato oltre gli 1,5 euro), sfruttando al meglio la compressione dello spread Btp-Bund seguita al mancato avviamento di una procedura di infrazione per eccesso di debito da parte della Ue nei confronti dell’Italia.

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Ma c’è di più: l’istituto senese controllato per oltre il 68% dal Tesoro, la cui capitalizzazione è risalita oltre gli 1,6 miliardi di euro (rispetto ai 5,4 miliardi investiti dal Tesoro per evitarne il fallimento), ha collocato ieri il primo bond “unsecured” da cinque anni in qua, ossia da ben prima della ricapitalizzazione precauzionale che ha sancito la ri-nazionalizzazione temporanea della banca.

Un bond a 3 anni che avrebbe dovuto rendere il 4,25%-4,375% ed essere emesso per 300 milioni ed è invece stato collocato per 500 milioni, a fronte di ordini per oltre 1,1 miliardi che hanno compresso il rendimento al 4%. Un risultato importante, figlio certamente della “fame” di rendimento che c’è in tutta l’eurozona (e non solo, visto che il 37% dell’emissione è stata collocata in Gran Bretagna e il 17% in altri paesi extra-Ue) soprattutto ora che sia la Federal Reserve sia la Banca centrale europea sembrano prossime a tagliare nuovamente i tassi o riavviare i programmi di quantitative easing per sostenere l’economia, ma che segnala anche la ritrovata fiducia nel management di Mps e nella strategia dell’amministratore delegato Marco Morelli per completare l’opera di pulizia dei conti e al tempo stesso tentare di far risalire la redditività.

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Strategia che da ultimo ha portato Mps a recedere anticipatamente, dietro il pagamento di una penale di una quarantina di milioni di euro, dall’accordo di servicing decennale con Cerved dei propri Npl attraverso la piattaforma Juliet. Mossa apprezzata dal mercato perché dovrebbe consentire sia una più rapida gestione del de-risking (a fine marzo Mps presentava ancora un’esposizione lorda ai crediti deteriorati del 16%, nonostante il maxi-collocamento di sofferenze per 24,1 miliardi lordi avvenuto lo scorso anno), sia un’interessante fonte di ricavi legata anche al possibile recupero di valore di parte delle posizioni deteriorate nel caso di riaccelerazione della crecsita.

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C’è poi un’ultima considerazione che sembra iniziare a fare capolino nei ragionamenti degli uomini di Piazza Affari attorno a Mps: il Tesoro entro fine anno dovrà sottoporre il piano d’uscita dal capitale (prevista entro la fine del 2021) alla Direzione Concorrenza Ue. Guarda caso al posto di Margrethe Vestager, in carica dal 2014 con la Commissione Juncker, potrebbe dalle prossime settimane sedere un italiano se Giuseppe Conte riuscirà a giocarsi bene le sue carte.

Sulla poltrona di Commissario Ue alla concorrenza potrebbe andare un esponente della Lega, se non Giancarlo Giorgetti, chiamatosi fuori, forse Gianmarco Centinaio. In ogni caso, al di là del nome, trattare con un italiano potrebbe rivelarsi strategicamente più semplice che non dover superare l’esame di un commissario nominato dal Nord Europa e renderebbe meno improbabile, ove fosse necessario, ridefinire le tempistiche garantendo un’uscita il più possibile indolore per la banca, che a quel punto dovrebbe essere tornata appetibile per altri operatori nazionali, e per i contribuenti italiani.

Che probabilmente subiranno sì una minusvalenza, ma non nell’ordine che sembrava paventarsi solo pochi mesi or sono. Che il peggio sia alle spalle nessuno ancora lo dice apertamente, forse per scaramanzia, ma in più di un investitore inizia evidentemente a pensarlo.

Luca Spoldi