Economia

Mps, il governo inizia a vendere. Dal terzo polo a Unicredit: cosa c'è dietro

di Marco Scotti

Via XX Settembre inizia a vendere "pezzi" del Monte dei Paschi. Dietro l'accelerazione la voglia di creare un terzo polo bancario (ma non solo)

Il governo inizia a vendere Mps, ecco che cosa c'è dietro 

Per i credenti c’è da farsi il segno della croce. Per una città misterica come Siena forse è il caso di immaginare qualche rito propiziatorio. Fatto sta che l’annuncio arrivato nella serata di ieri di voler vendere il 20% di MPS per ottenere - si dice - fino a 800 milioni è una di quelle notizie da segnare con la matita rossa sul calendario. Tutti si aspettavano una mossa del Mef, nessuno pensava che l’avrebbe fatto in questo momento, con i risultati in crescita, la capitalizzazione tornata vicina ai 4 miliardi e con l’allineamento favorevole di mercato, agenzie di rating ed Europa. Invece da Via XX Settembre hanno pensato che fosse il caso di procedere così, con una procedura “accelerata” che come primo risultato ha portato al tracollo delle azioni in Borsa che perdono (mentre scriviamo) oltre il 5%.

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La domanda sorge spontanea: per quale motivo si è scelto di procedere in questo modo, avendo già avuto simile risultato quando Axa si privò del suo pacchetto del 10% in un colpo solo facendo precipitare il titolo in Borsa? Gli accordi con l’Europa sono precisi: entro la fine del 2024 Mps deve uscire dal perimetro del governo. Come e quando non è mai stato un problema.

Non è un mistero che il governo spinga per la creazione di un terzo polo bancario con Montepaschi e BancoBpm. E l’ostinato rifiuto del duo Castagna-Tononi può essere facilmente aggirato puntando sulla moral suasion e su una strategia che miri a far perdere valore al titolo. Non un autogol, quindi, ma una scelta ponderata. In una giornata in calo, il Banco vale poco meno di 8 miliardi, facile pensare che in un’ipotetica operazione di fusione si debbano trovare valori che premino maggiormente Piazza Meda.

Quello che è certo è che a questo punto, con rinnovate condizioni, anche UniCredit potrebbe tornare nella partita. Il Ceo Andrea Orcel, che pure ha sempre nicchiato, ha avuto tra i suoi incarichi - oltre a quello, riuscitissimo, di remunerare in maniera decisa il suo azionariato e ridare capitalizzazione alla banca - di espandere e consolidare l’istituto all’estero e in Italia. Nessuno lo ammetterà mai, ma le sole operazioni in Europa non bastano e Orcel, che andrà in scadenza ad aprile e si è già detto disponibile a un nuovo mandato, potrebbe anche tentare il colpaccio.

D’altronde, nei giorni del fallito tentativo di comprarsi BancoBpm UniCredit valeva in Borsa circa 9 euro per azione, oggi siamo a poco meno di 25. La struttura della banca è oggi talmente solida da potersi permettere un’operazione come quella di Siena che pure, rispetto al passato, non sarebbe più “gratuita”.  Ma, si diceva, il governo propende per il terzo polo, per non avere due soli giganti e tanti nani intorno. Mps, ora che ha pure ridotto la possibilità di azioni legali, è ancora più appetibile. Bper, impegnata nell’integrazione futura con Popolare di Sondrio, non sembra interessata. I francesi di Credit Agricole neanche. Non restano molti pretendenti. Quello che è certo è che il governo ha scommesso forte sulla possibilità di ottenere un buon risultato da questa operazione invece che dalla cessione in toto dell’intero pacchetto azionario. Sarà interessante andare a sfogliare i libri CONSOB a fine anno per vedere chi si sarà accaparrato questo 20% di Siena. Intanto, però, rimane una sola speranza: che la scommessa sia vincente. Si accettano scongiuri e riti apotropaici.