Economia
Nexi-Sia, i fondi vogliono il polo dei pagamenti tech. I piani. Rumors
Settore dei servizi di pagamento digitali sempre più caldo: mentre negli Usa tiene banco l’annunciata fusione da 21,5 miliardi di dollari “carta contro carta” tra Global Payments e Total System Services, in Italia torna a farsi insistente l’ipotesi di una futura aggregazione tra Sia e Nexi. Operazione in verità non semplice, non fosse altro che per le possibili obiezioni dell’Antitrust e per la disparità di valutazione tra le due società. Nexi, sbarcata in borsa in aprile, capitalizza ad oggi poco più di 5,5 miliardi di euro ed è controllata dai fondi Bain Capital, Advent e Clessidra (controllata quest’ultima dalla Italmobiliare dei Pesenti), che attraverso il veicolo finanziario Mercury Uk Holding detengono il 60,15% del capitale (un altro 3,2% circa è invece stato rilevato in sede di Ipo da Gic, il fondo sovrano di Singapore).
Cdp: Tononi, saliti all'85% di Sia, e' azienda strategica e formidabile/ Cdp e' salita a una quota "prossima all'85%" di Sia rilevando le quote di altri azionisti tra cui Orizzonte e F2i. E' quanto ha affermato il presidente di Cassa, Massimo Tononi, a margine di un convegno in Borsa Italiana organizzato da Sace Simest. "Abbiamo incrementato in modo significativo la nostra quota. E' un'azienda formidabile, strategica per il Paese. Dobbiamo assicurarci che continui a performare e che sia ancora piu' grande e importante per il futuro", ha aggiunto il manager. Per quanto riguarda Progetto Italia, il maxi polo delle costruzioni in via di definizione attorno a Salini Impregilo e in cui Cdp potrebbe giocare un ruolo rilevante, Tononi si e' limitato a dire: "Ci stiamo lavorando". |
I fondi hanno assunto un impegno di lock-up di 180 giorni dalla quotazione che impedisce loro di procedere a ulteriori cessioni, salvo preventivo consenso dei coordinatori dell’offerta (Goldman Sachs International e Unicredit Bank). Consenso che potrebbe giungere nel caso, che fonti a conoscenza della vicenda assicurano ad Affaritaliani.it essere al momento molto improbabile, che arrivi un’offerta da parte di un soggetto terzo. In assenza di un acquirente, i fondi continueranno a muoversi all’unisono aggiunge la fonte, cosa che potrebbe far presagire un collocamento secondario se le condizioni dei mercati lo consentiranno a partire dal prossimo ottobre, una volta scaduto il lock-up.
L’alternativa per cui sembrano tifare il governo e il mercato è tuttavia un’altra, ossia una fusione con Sia destinata a creare, in base ai dati 2018, un polo nazionale da circa 1,55 miliardi di fatturato (931 milioni quelli di Nexi, 615 quelli di Sia) e oltre 120 milioni di utile (36 milioni per Nexi, circa 85 milioni per Sia). Piccolo problema: le valutazioni delle due società sono al momento molto distanti tra loro: mentre Nexi capitalizza come detto 5,5 miliardi di euro, Sia era indicata tra i 2 e i 3 miliardi di euro lo scorso anno. Ma voci non confermate indicano tra i 200 e i 300 milioni di euro l’importo che Fsia, veicolo finanziario che fa capo per il 70% da Cdp e per il restante 30% a Poste Italiane che detiene il 49,5% del capitale di Sia, era disposto a pagare per rilevare le quote di F2i (socio al 17,05%), Hat Orizzonte (8,6%), Intesa Sanpaolo e Unicredit (entrambe socie al 3,97%).
Da notare che rilevando tali quote Fsia salirebbe oltre l’83% conferendo a Cdp il controllo indiretto (col 58,2% pro-quota) di Sia, di cui resterebbero azionisti di minoranza Banco Bpm (4,82%), Banca Mediolanum (2,85%) e Deutsche Bank (2,58%) ossia soggetti che potrebbero facilmente essere coinvolti in un successivo collocamento in borsa sia nel ruolo di azionisti venditori, sia eventualmente di collocatori. In caso di integrazione con Nexi invece sorge un problema. Oltre alle possibili obiezioni dell’Antitrust che potrebbe giudicare l’operazione nociva per la concorrenza, il presupposto di tutto questo attivismo di Cassa depositi e prestiti è che il governo Salvimaio consideri strategico il settore dei pagamenti digitali e pertanto intenda continuare a presidiarlo, attraverso la presenza di Cdp nel ruolo di azionista di riferimento.
Ma se Cdp davvero valorizzasse il 33,6% di Sia non più di 300 milioni, questo implicherebbe una valutazione non superiore al miliardo per l’intera società, ossia tra un terzo e un mezzo delle cifre circolate solo un anno fa. Se anche così non fosse e dunque Cdp sborsasse una cifra più vicina ai 600-700 milioni per rilevare il controllo, comunque sarebbe difficile procedere a una fusione “alla pari”, salvo ipotizzare che la stessa venga posposta di almeno uno o due anni. Il tempo sufficiente, mercati permettendo, per far crescere ulteriormente l’attività e la redditività di Sia, chiedendo quindi un “premio” rispetto alla valutazione di mercato di Nexi (che nel frattempo potrebbe stabilizzarsi o anche calare se i fondi dovessero procedere a uno o più collocamenti supplementari).
Un eventuale dividendo straordinario a favore degli azionisti di Nexi, che però al momento ha un indebitamento netto di oltre 1,5 miliardi, pari a 3-3,5 volte l’Ebitda atteso a fine anno (un rapporto previsto in calo a 2-2,5 volte grazie al “progressivo deleveraging organico”), potrebbe da ultimo contribuire a riallineare le valutazioni dei due gruppi.
A quel punto a fronte di valutazioni simili ad esempio attorno ai 3,5-4 miliardi di euro per entrambe le società, Cdp potrebbe risultare il primo azionista con una partecipazione tra il 25% e il 30% del nuovo soggetto, ampiamente superiore a quella di ciascun singolo fondo. Visto anche le diffenti nature di investitori finanziari gli uni e investitore di lungo periodo l’altra, Cdp potrebbe a quel punto rivendicare la gestione del nuovo gruppo, magari blindandone il controllo con un patto di sindacato. Se però tutte le ipotesi suddette non dovessero verificarsi, i fondi potrebbero essere tentati dall’uscire progressivamente dall’azionariato rendendo Nexi contendibile.
In questo caso, come capitato con Telecom Italia, Cdp potrebbe anche provare a rilevare direttamente una partecipazione, per poter così spingere per una fusione tra le due società in un secondo momento, ancora più in là nel tempo. Sempre che non appaia sulla scena quel famoso “investitore terzo” che secondo le fonti contattate da Affaritaliani resta l’ipotesi considerata “più desiderabile” dai fondi azionisti di Nexi.