Corporate - Il giornale delle imprese

I poteri corti – Diritti e diritti

La comunicazione trasversale sulle imprese e una legislazione poco attenta alle differenze alimentano pretese di diritti legati a un modello di fabbrica novecentesco

Imprese tra utili miliardari e piccoli imprenditori dimenticati: la narrazione distorta che minaccia il futuro produttivo

Come riportato da Marco Travaglini su L'Identità: 

Diciotto miliardi di utili e liquidazioni milionarie. Questo si è sentito nei vari tg e trasmissioni (partitiche più che politiche), in questi giorni. Ma non solo proprio questo. Filmati con immagini di tornelli e capannoni dove entrano operai (in cassa integrazione) demotivati, preoccupati e senza alcuna certezza o visione future. E lungi da me non dare forte importanza a tutte le problematiche di settori come l’automotive (ma anche il tessile e altri ancora) che non garantiscono più continuità; semmai sia stata garantita dalla loro produzione, guardando alla somma di tutti gli incentivi che hanno preso dallo Stato, potrebbe essere difficile immaginare che tali settori vadano bene da soli.

Ma non voglio parlare ancora della filiera e del sistema “a goccia” – che non tiene più da tempo: margini finiti e problemi di ribasso di tutto, della manodopera e delle persone – ma di quanto tale comunicazione fatta da tv e giornali su questi imprenditori “brutti e cattivi” che fanno margine e dividendi, fregandosene di occupazione e socialità, non mostri attenzione a distinguere queste condotte da quelle dei piccoli imprenditori, con la loro deontologia e generosità, nonostante le possibilità tecniche ed economiche ben diverse da quelle delle grandi imprese. Questa generalizzazione è estremamente deleteria e pericolosa per il nostro substrato economico produttivo.

Soggetti che prendono spesso meno dei loro manager (se li hanno) come stipendio; spesso per ultimi, se lo prendono (quando la cassa è bassa); con il proprio patrimonio personale messo a garanzia dei prestiti; con le responsabilità legali che spesso non riescono neanche a gestire in prima persona, né mediante mediatori adatti e adattati in modelli operativi complessi (che non si adattano al suo); che non si possono permettere per pagare tutti e tutto, contributi e il resto.

Signori, la trasversalità di comunicazione fatta sulle imprese, ma aggiungo anche una legislazione che non tiene conto molto di tali differenze, genera casi di pretese di diritti legati ad un modello di fabbrica novecentesca che va bene in tv (anche per fare più audience) ma che nella realtà cozza con le proposte e le opportunità di un mondo nuovo e di smart working responsabilizzante, dando spazio ad estremizzazione di tali diritti su formalità contrattuali da fredde fabbriche del 900 che non funziona più.

Qui, dobbiamo mettere sul piatto un modello collaborativo e abilitante in cui la persona imprenditore che si spende come indicato sopra, distinguendosi non solo dai grandi capitalisti ma anche dai suoi non-simili colleghi che comprano un suv non pagando i contributi, sia alla pari delle collaborazioni. Se noi non diamo modo di parlare, raccontare, aiutare, motivare, agevolare, accompagnare e tanti altri “are” queste persone, inglobandoli in modelli di impresa e in una comunicazione di giudizio massificante senza distinzione, rischiamo davvero la catastrofe: lasciando che tali valori demotivanti rendano ancora più bassa la nostra pessima produttività e consegnando il mondo a tutti quelli che vogliono (solo) diritti e che si mescolano, si confondono e alimentano tutto il resto del mondo dei “dritti”.

Fonte: L'identità