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Intesa Sanpaolo, l'analisi: "Fatturato manifatturiero record nel 2021"

Momento positivo per il manifatturiero italiano: nel 2021 è cresciuto del +5,4% sul 2019 (prezzi costanti) e del +11,2% (prezzi correnti)

Intesa Sanpaolo presenta insieme a Prometeia il Rapporto Analisi dei Settori Industriali

Nel corso del 2021, l’industria manifatturiera italiana ha vissuto una fase di intensa ripresa che l’ha portata a superare significativamente i livelli pre-Covid: il fatturato ha segnato un +5,4% sul 2019 a prezzi costanti e un +11,2% a prezzi correnti che, sostenuto dalla spinta inflativa generata dal primo rally delle commodity, soprattutto non energetiche, ha determinato il superamento della soglia record di 1000 miliardi di euro.

Il mercato interno è stato il principale traino della ripresa, grazie alla spinta decisiva degli investimenti, soprattutto in costruzioni. Meno brillante, ma comunque positiva, l’evoluzione dei consumi, che a fine 2021 scontavano ancora un gap del 7% rispetto al 2019, pur avendo beneficiato di una vivace ripartenza degli acquisti di beni semi-durevoli e di servizi, legata anche al turismo. Anche la domanda estera ha influenzato positivamente la performance manifatturiera 2021: la carenza di input intermedi e i colli di bottiglia nella logistica internazionale non hanno impedito all’export italiano di beni manufatti di evidenziare una crescita in doppia cifra (+12,9% tendenziale a prezzi costanti). Oltre la metà di tale risultato si deve al contributo dei vicini mercati europei, ma non sono mancate performance molto positive negli Stati Uniti e in Asia, diffuse dal punto di vista settoriale.

L’aggiornamento del campione di bilanci 2020 conferma la solidità dell’industria manifatturiera italiana che, nel confronto con i competitor europei, ha contenuto il calo dei margini e della redditività (il Roi è sceso al 5,7% nel 2020, dal 7,6% del 2019), grazie anche al sostegno delle misure governative. Il crollo della rotazione del capitale e il maggior carico dei costi fissi per unità di prodotto, inoltre, non hanno impedito alla struttura patrimoniale di mantenersi in equilibrio, con un leverage sostanzialmente stabile sullo 0,6 nella media del manifatturiero, riflettendo un processo di rafforzamento della patrimonializzazione in atto dal 2009. 

L’inasprimento delle tensioni internazionali, a seguito dello scoppio del conflitto Russia-Ucraina, ha mutato radicalmente il contesto operativo. Se da un lato le condizioni di domanda si dimostrano ancora favorevoli in tanti settori, dall’altro lato lo shock energetico sta impattando in maniera significativa lungo tutta la filiera manifatturiera, peggiorando il sentiment delle imprese, che si affacciavano al 2022 con elevati livelli degli ordinativi. L’indice Istat che sintetizza il clima di fiducia appare infatti in rientro dai massimi raggiunti nel 2021, flettendo nelle componenti ordini e attese su produzione.

Sul fronte interno, il nuovo scenario contempla un rallentamento degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto (in parte fisiologico dopo il forte rimbalzo del 2021), quale effetto dei maggiori costi e dell’incertezza globale, nonostante il permanere di incentivi. Alcuni segnali emergono, in via preliminare, dall’indagine Banca d’Italia-Sole24ORE sulle condizioni di investimento, condotta nel febbraio-marzo 2022. In peggioramento anche il sentiment delle famiglie, che impatta sulle prospettive dei consumi per l’anno in corso, in particolare per i beni durevoli, più sensibili al calo del reddito e della fiducia. Più dinamici gli investimenti in costruzioni, sostenuti dal PNRR, pur in un contesto più fragile che, causa costi e scarsità di materiali e manodopera, potrebbe vedere un allungamento dei tempi originariamente previsti per alcuni progetti infrastrutturali. Sul fronte estero, ci attendiamo per il 2022 un rallentamento del commercio internazionale, indotto dal conflitto ma anche dagli effetti della politica zero-Covid cinese, che sta generando nuove tensioni logistiche lungo le catene globali del valore. 

La complessità del contesto attuale porta a rivedere al ribasso le stime di crescita 2022 dell’industria manifatturiera italiana, verso un +1,5% di aumento tendenziale del fatturato deflazionato, dal +4,9% stimato in corrispondenza del Rapporto di ottobre 2021. A prezzi correnti, invece, la stima viene rivista al rialzo, verso un tasso di crescita del +17,9% tendenziale, dal +6,9% stimato ad ottobre, come effetto dei forti rincari dei costi di approvvigionamento che, pur affievolendosi gradualmente nel corso dell’anno, resteranno su livelli elevati rispetto alla fase pre-confitto. Il deterioramento del contesto di domanda renderà comunque il fenomeno di pass-through difficoltoso in tanti settori, anche in quelli posizionati più a monte delle filiere, generando pressioni sui margini. Per il 2022 ci attende, pertanto, un calo della marginalità media del manifatturiero, verso un EBITDA margin dell’8,8%, dal 9,1% stimato per il 2021. 

Solo accelerando sugli investimenti i tassi di crescita dell’industria diverranno più dinamici nel 2023-26

Nell’ipotesi di recupero di un trend espansivo della domanda, che prenda il sopravvento su fattori di freno quali escalation del conflitto, pressioni inflazionistiche, difficoltà negli approvvigionamenti e incertezza diffusa, il manifatturiero italiano è atteso crescere ad un ritmo attorno al 2,6% medio annuo nel 2023-26, a prezzi costanti. Una performance che segna un deciso cambio di passo rispetto al ventennio pre-Covid.

Cruciale per il raggiungimento di questo risultato sarà il sostegno offerto dal PNRR, in termini di risorse dispiegate a supporto della crescita e di riforme, a cui dovranno affiancarsi significativi piani di investimento da parte delle imprese, per accelerare sul fronte della transizione digitale e ambientale, non più rinviabile. L’accelerazione del ciclo degli investimenti manterrà dinamica, nel medio periodo, la crescita di Elettrotecnica, Elettronica ed Autoveicoli e moto, con tassi attorno al 4% medio annuo a prezzi costanti nel 2023-26. Più dinamici del manifatturiero anche i settori della filiera metalmeccanica, stimati crescere ad un ritmo di poco inferiore al 3% medio annuo. 

Anche la domanda mondiale, superati i problemi di natura logistica alla base degli attuali ritardi lungo le catene globali del valore, continuerà a sostenere la performance del manifatturiero italiano. Sebbene in un contesto di aumento dell’import penetration, trainata da componenti necessarie a sostenere la doppia transizione, le esportazioni italiane di manufatti sono attese crescere a un ritmo medio annuo superiore al 3% nel 2023-26, a prezzi costanti, portando il saldo commerciale a sfiorare la soglia dei 120 miliardi di euro.

Cruciale anche la diversificazione delle fonti energetiche, verso un potenziamento delle rinnovabili

Il conflitto Russia-Ucraina ha posto l’accento sulla necessità di progredire sul fronte di una diversificazione delle forniture di gas e, più in generale, delle fonti energetiche, verso un maggior ricorso alle Fonti di Energia Rinnovabile (FER), che possano ridurre la dipendenza dall’estero per la sussistenza energetica. Nell’ultimo decennio, l’Italia ha compiuto enormi progressi nell’installazione di impianti FER, in particolare nel fotovoltaico, oggi seconda tecnologia prevalente dopo l’idroelettrico, accumulando 58 gigawatt di capacità che, nel 2020, ha generato il 42,4% della produzione lorda di energia elettrica del nostro paese, coprendo il 38% dei consumi (sopra la media UE). Elevata anche la quota di consumi finali lordi complessivi da rinnovabili (che includono anche i comparti termico e dei trasporti, oltre all’elettrico): il 20,4% del 2020 è un risultato importante, superiore all’obiettivo prefissato del 17%, che ci rende uno dei paesi più virtuosi tra i principali competitor europei, davanti a Germania e Francia. Ma le sfide restano aperte perché i target green fissati dall’UE al 2030 sono ancora più ambiziosi e coinvolgono in misura crescente l’industria, sia i settori più tradizionali, dove le fonti FER hanno un elevato potenziale nella generazione di calore per i processi produttivi, sia i settori più energivori o hard-to-abate, dove le FER possono giocare un ruolo complementare ad altri vettori energetici come l’idrogeno.

Per raggiungere questi obiettivi, l’Italia può contare sulla presenza di una filiera italiana di componentistica FER già ben posizionata nel contesto europeo e nel commercio mondiale: nel 2020, circa un quarto della produzione europea di moltiplicatori di velocità e oltre il 30% di quella di parti elettriche per macchine (componenti chiave degli impianti per rinnovabili) è stata realizzata nel nostro paese. Il PNRR stanzia inoltre fondi importanti per rafforzarla, oltre che per far nascere una vera e propria filiera dell’idrogeno a supporto della transizione green.