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Recovery Plan ridurrà il divario tra Nord e Sud? Lepre: "Prudenza necessaria"
L'esperto: "Semplificare e snellire le procedure. Con gli attuali ritmi di spesa non c'è alcuna possibilità di rispettare le scadenze. Il rischio è forte".
Il Recovery Plan ridurrà il divario tra Nord e Sud? L’interrogativo continua a essere legittimo, malgrado le rassicurazioni di ministri e forze politiche. Sull’argomento interviene Gianni Lepre, docente Lum, esperto fiscale e opinionista di Rai2.
Il premier Draghi, nella premessa al Recovery, assicura che il 40% delle risorse sarà destinato al Mezzogiorno. Si può essere ottimisti, secondo lei? “Il suo predecessore Conte si era spinto più in là, quantificando la percentuale per il Sud in circa il 50%. Una differenza enorme, in termini di miliardi disponibili per recuperare il divario. Ma ci sono altri elementi di criticità che inducono alla prudenza”.
Quali? “Malgrado le assicurazioni fatte alcune settimane orsono dallo stesso Draghi, gli importi riservati al Mezzogiorno non sono chiariti voce per voce. In termini assoluti, si indica in 82 miliardi la cifra per il Meridione, ma questo importo non si ricava da una dettagliata esposizione delle quote per il Sud, missione per missione. Per cui non si ha la possibilità di monitorare da dove effettivamente la somma finale esca fuori”.
C’è il rischio insomma che quel 40% rimanga sulla carta? “Tra Piano nazionale di ripresa e resilienza e Fondo Complementare sono disponibili 222 miliardi. Ma il 40% è calcolato su 206, perché 16 miliardi sono ritenuti non territorializzabili. In realtà, dietro questa brutta espressione si nascono voci di spesa che finiranno per favorire il Nord, riducendo così la percentuale per il Sud. La percentuale del 40% potrà dunque essere raggiunta solo tenendo conto anche di React Eu e Fondo per la transizione giusta, fondi indirizzati prevalentemente al Mezzogiorno”.
L’obiettivo del recupero del gap sarà ancora una volta fallito? “Dipende. In primo luogo, dobbiamo ricordare che, accanto alle risorse rese disponibili dal Recovery Plan, il Sud potrà utilizzare altre fonti di finanziamento, a cominciare dal nuovo ciclo dei fondi strutturali 2021-2027. Poi, molto inciderà la possibilità di spendere i soldi che arriveranno nei tempi rigorosamente previsti dalla Commissione di Bruxelles. Con gli attuali ritmi di spesa, non c’è alcuna possibilità di rispettare le scadenze. O si semplifica e si snelliscono le procedure, oppure si dovrà rinunciare a buona parte delle risorse annunciate”.
Il legislatore, insomma, avrà un compito fondamentale? “Certo, ma su questo punto è in gioco l’interesse di tutto il territorio nazionale, non solo del Mezzogiorno. Nel Sud, se mai, si dovrà rapidamente intervenire anche per potenziare amministrazioni in deficit qualitativo e quantitativo, rinfoltendo gli organici con giovani preparati. Sulla possibilità, invece, che il Sud riesca a ottenere quanto gli spetta, avrà un ruolo determinante la sua classe dirigente. Dal Ministro per il Sud Carfagna ai Governatori delle Regioni meridionali e ai sindaci di Comuni e Città Metropolitane, fino alle associazioni di categoria, alle forze sindacali e alla stessa intellighenzia”.
Come dovranno agire? “Basterà che portino a compimento la svolta che già è in atto. Finalmente gli esponenti del Meridione stanno cominciando ad alzare la voce e a farsi sentire sui tavoli che contano. Un esempio è quello della recente Conferenza delle Regioni, dove i rappresentanti del Sud sono riusciti a impedire una proposta di revisione del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale che avrebbe sottratto 250 milioni di euro al Mezzogiorno a vantaggio delle aree più forti. Modifiche del genere sono state all’ordine del giorno negli anni scorsi, finalmente sotto il Garigliano qualcuno sembra essersi svegliato”.
Anche sul Pnrr si innescherà una guerra di campanile? “Starà al buonsenso evitarlo. E’ tuttavia giusto che, come ha fatto il presidente della Campania Vincenzo De Luca, si punti il dito contro manovre finanziarie come l’inserimento delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione nel quadro generale del Pnrr. Quei soldi in larghissima parte sarebbero stati destinati al Sud, quindi avrebbero finito per essere stornati dalla loro finalità primaria. L’intervento di De Luca e la stessa vigile attenzione del ministro Carfagna hanno fatto sì che nel Piano fosse espressamente specificato che le risorse andranno poi reintegrate nel Fs”.
L’immagine che se ne ricava è comunque quella di un Paese diviso in due… “Ed è paradossale che sia così, perché l’interesse di tutti sarebbe di ridurre il divario territoriale e, facendo crescere il pil, avviare a risanamento anche le pubbliche finanze, con vantaggio enorme per tutta l’Italia. Lo sottolinea lo stesso Draghi nella premessa al Pnrr. Tra il 1999 e il 2019, il Pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6 per cento. Questo è stato il risultato disastroso di politiche economiche che hanno spaccato il Paese limitando drasticamente le risorse per il Sud”.