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Economia
Pensioni d'oro, "formula Letta" per Di Maio. Come non farsi bocciare il taglio
Foto LaPresse

Pensioni d’oro: Luigi Di Maio va in cerca di un argomento “pop” con cui animare l’estate 2018 e lo trova negli assegni previdenziali per chi prende “4-5.000 euro netti senza aver pagato i contributi adeguati”: la prossima settimana, ha dichiarato il ministro pentastellato, “calendarizzeremo il taglio delle pensioni d’oro” in Commissione Lavoro al Senato. Detta così sembrerebbe una bazzecola arrivare a “un taglio dell’assegno”. Di Maio è talmente sicuro che si tratti di una misura “di giustizia sociale” che promette: “Ce la metteremo tutta” affinché il provvedimento sia pronto prima della pausa estiva.

Che il tema della perequazione delle pensioni, con taglio di quelle più elevate non potendosi più promettere l’innalzamento di tutte le altre sia un tema politicamente molto “pop” è evidente, che sia facile passare dalla parole ai fatti è tutto meno che scontato. Il primo a provarci fu Silvio Berlusconi nel 2011, introducendo un contributo di solidarietà del 5% per chi percepiva una pensione tra i 90 e i 150 mila euro annui, del 10% tra i 150 e i 200 mila euro annui e del 15% sopra i 200 mila euro annui, da applicare peraltro solo fino al 2014. La misura non dispiacque neppure a Mario Monti, che succeduto a Berlusconi confermò l’applicazione del contributo.

Peccato che la misura sia stata poi sonoramente bocciata dalla Corte Costituzionale, in quanto lesiva del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (articolo 3 della Costituzione), perché il contributo si applicava non a tutti, ma solo ad alcune categorie di cittadini (appunto chi percepiva pensioni superiori ai 90 mila euro annui). Variare l’indicazione del tetto da annuale a mensile non sembra poter variare la fondamentale discriminazione che una norma specificamente “contro” le pensioni d’oro rischia di avere insita in sé. Con l’evidente rischio di un’ennesima bocciatura e dunque, come accaduto già nel 2013, con la necessità di rimborsare pari pari i prelievi effettuati, maggiorati d’interesse.

Ma perché la Corte Costituzionale non giudica tassare le “pensioni d’oro” quell’atto di “giustizia sociale” di cui parla Di Maio? Perché nel momento in cui il legislatore sceglie di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici da chi le stesse cifre le percepisce ad esempio come reddito da lavoro o d’impresa, compie un atto discriminatorio.

Nel caso del contributo di Berlusconi-Monti, ad esempio, il contributo di solidarietà, notò la Corte, si applicava “su soglie inferiori e con aliquote superiori”, rispetto a tutti gli altri cittadini per i quali la misura era prevista per “redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un’aliquota del 3%, salva in questo caso la deducibilità dal reddito”. Insomma: non è incostituzionale tassare le pensioni “d’oro” o meno che siano.

E’ incostituzionale tassare diversamente chi guadagna 90 mila euro (o qualsiasi altra soglia) in quanto titolare di pensione rispetto a chi li guadagna, ad esempio, affittando appartamenti o a chi li intasca come stipendio. Un precedente a favore della tassazione delle pensioni d’oro, del resto, esiste: il governo di Enrico Letta, succeduto a quello di Monti, impose a sua volta un contributo di solidarietà per le pensioni sopra la soglia dei 91 mila euro, intascando 160 milioni di prelievo fiscale. In questo caso la Corte Costituzionale ritenne legittimo il prelievo trattandosi di un contributo “interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema”.

(Segue...)

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