Economia
Petrolio, chiude il peggior mese del decennio, ma c'è fiducia. Ecco perché
Si attende un taglio della produzione Opec e forse della Russia, che aiuterebbe i prezzi a stabilizzarsi. Per Eni e Saipem ci sono prospettive interessanti
Gli automobilisti italiani faticano ad accorgersene, con un prezzo della benzina passato in media da 1,66 a 1,617 euro al litro (-2,6%), ma quello di Novembre è stato il mese peggiore per i prezzi del petrolio dell’ultimo decennio, con quotazioni crollate da 63,17 a soli 50,63 dollari al barile (-19,8%), nonostante un indebolimento del petrolio che, di suo, dovrebbe offrire un supporto ai prezzi di materie prime espressi nella divisa americana, come nel caso appunto del greggio.
In realtà, specie dopo gli ultimi dati macro (Pil in calo dello 0,1% nel terzo trimestre in Italia, dello 0,2% in Germania ed in rallentamento persino negli Usa, da +4,2% a +3,5% su base annualizzata), il timore di un rallentamento della crescita e quindi della domanda di petrolio sta portando gli investitori ad attendere tagli alla produzione Opec e non-Opec (Russia in particolare) per evitare un eccesso di offerta.
Taglio alla produzione che un comitato consultivo dell’Opec (che la prossima settimana si riunisce a Vienna) ha già raccomandato dovrà essere almeno di 1,3 milioni di barili al giorno perché i prezzi si stabilizzino, ma le distanze tra i vari paesi aderenti al cartello e tra questi e la Russia sembrano al momento ancora consistenti e tali da non lasciar prevedere un facile accordo, anche se l’Arabia Saudita ha già fatto capire che comunque ridurrà unilateralmente la propria produzione.
Così anche Morgan Stanley, che ancora a fine ottobre prevedeva una risalita delle quotazioni del Brent in area 85 dollari al barile (mentre il petrolio del Mare del Nord ha visto il prezzo calare sotto i 60 dollari) e le quotazioni del Wti texano a 79 dollari, ha dovuto prendere atto che il petrolio è entrato in una fase di “mercato orso” ed ora parla di un Brent a 77,5 dollari e un Wti a 68,5 dollari al barile a fine anno, aggiungendo che almeno sino a metà 2019 i prezzi difficilmente risaliranno in maniera significativa.
Ad aggiungere ulteriore incertezza ha contribuito la decisione di Cuadrilla di riattivare le operazioni di fracking nel suo giacimento di shale oil di Preston New Road, nel Lancashire, dopo una sospensione durata ben sette anni. Da ricordare che secondo l’ex premier britannico David Cameron, se solo si riuscisse ad estrarre il 10% delle 1.300 tonnellate di piedi cubi di riserve di gas che si stima siano intrappolate nel sottosuolo inglese, questo potrebbe bastare a soddisfare la domanda di gas in Gran Bretagna per 50 anni.
Ma se i prezzi sembrano destinati a rimanere tra i 50 e i 60 dollari al barile ancora per diversi mesi, chi ci guadagna e chi rischia di più tra le grandi compagnie mondiali? Sempre Morgan Stanley nel corso dell’anno ha segnalato come con un prezzo del petrolio Brent attorno ai 70 dollari al barile (nel 2019), erano prevedibile un flusso di cassa complessivo per le “major” (Royal Dutch Shell, Total, BP, Eni, Staoil e Repsol) attorno ai 64 miliardi di dollari l’anno prossimo, mentre se il prezzo salisse a 85 dollari al barile il flusso di cassa atteso salirebbe attorno agli 84 miliardi di dollari.
Questo si tradurrebbe in un incremento dei prezzi obiettivo dei titoli attorno al 13%, ma sulle quotazioni dei titoli pesano anche altri fattori. Nel caso dei titoli italiani (Eni, Saipem e Tenaris), ad esempio, Equita Sim mantiene una visione positiva su Eni con target price di 19,5 euro (rispetto ai 14,25 euro attorno a cui oscilla al momento il titolo in borsa) specie dopo la conferma che il cane a sei zampe parteciperà alla gara per aggiudicarsi il 40% di Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), a conferma della volontà di rafforzarsi ulteriormente sia nel business upstream sia downstream nel Medio Oriente.
L’esito della gara sarà annunciato l’anno prossimo, ma un’eventuale partnership tra Adnoc ed Eni avrebbe per gli analisti significative ricadute per il gruppo italiano la cui esposizione verso la raffineria è più limitato rispetto ad altri gruppi integrati europei, anche perché gli impianti Adnoc hanno “un evidente vantaggio di costo per dimensioni e integrazione con l’upstream” e visto che la rete distributiva di Eni “potrebbe risultare un naturale mercato di sbocco per la raffinazione di Adnoc”. Il tutto, alla fine, ridurrebbe secondo gli esperti la volatilità degli utili di Eni, senza andare ad incidere sul piano di buyback che potrebbe essere proposto nel 2019.
Situazione che potrebbe evolvere positivamente, almeno a breve termine, anche per Saipem, entrata giusto venerdì nella lista di titoli che Websim segnala nella sua strategia d’acquisto. Gli esperti ritengono infatti che il titolo, che ha chiuso la settimana in borsa in rialzo di quasi 7 punti a 3,864 euro, possa spingersi ulteriormente al rialzo fino ad un primo obiettivo di 4-4,2 euro per azione, dunque con un ulteriore guadagno tra il 4% e l’8% circa nelle prossime sedute.
Giudizi positivi sono arrivati negli ultimi giorni anche da Exane, che ha alzato la raccomandazione a “outperform” da “neutral” pur limando il target price a 4,90 euro da 5,60 euro e da Hsbc, che ha promosso il titolo a “buy” (da “hold”), in questo caso limando il prezzo obiettivo da 4,60 a 4,50 euro per azione. Chi ha invece qualche problema al momento è Tenaris: il titolo del gruppo controllato dalla famiglia Rocca (che in Italia controlla Dalmine) ha perso in settimana oltre l’8% dopo che in Argentina il presidente, Paolo Rocca, è finito sotto inchiesta nell’ambito di un’indagine per presunte tangenti che Rocca avrebbe distribuito a funzionari, dirigenti ed esponenti di governo durante l’era Kirchner (dal 2007 al 2015) in cambio di appalti per forniture e opere pubbliche.
Non manca peraltro chi suggerisce, come Guggenheim, di approfittare della caduta che potrebbe rappresentare un’ottima occasione d’acquisto a medio termine, tanto più che il broker ha un prezzo obiettivo di 18,60 euro per azione, del 75% più elevato rispetto ai prezzi attuali (che hanno finito col mandare in rosso anche la performance a 12 mesi, attualmente negativa per un 10,7% circa). Nell’immediato peraltro è possibile che vengano annunciate azioni legali da parte di investitori che hanno sofferto perdite, così come ha suggerito di fare lo studio legale Faruqi & Faruqi e questo potrebbe portare a ulteriore perdite borsistiche, quanto meno di breve periodo, prima che torni maggiore serenità sul titolo.