Economia
"Pil sopra il 2% o debito insostenibile". Messina dà la sveglia al governo
"Un Paese con due trilioni e mezzo di debito e un trilione di attivi non è gestito correttamente", dice il Ceo di Intesa. E sul risiko bancario...
Se il Pil "non crescerà almeno del 2% gestendo gli attivi, ci troveremo un problema di debito pubblico difficilmente gestibile nel confronto con gli altri Paesi". Mentre il M5S e il presidente dell’Europarlamento David Sassoli tirano fuori la proposta della cancellazione del debito statale da misure anti-Covid (prima bisogna modificare i trattati) in pancia all’Eurotower e nel governo si litiga sul Recovery Fund (uno strumento di politica fiscale espansiva da 209 miliardi di euro), Carlo Messina, il Ceo di Intesa Sanpaolo, gruppo che con le operazioni di sistema con Cdp fa oramai nel nostro Paese da secondo Ministero dell’Economia, dà la sveglia all’esecutivo e riporta la barra dritta su quello che dovrebbe essere la stella polare della politica economica giallo-rossa.
Ricordarsi cioè che i rendimenti ai minimi storici dei Btp, addirittura sottozero fino ai 5 anni, sono dovuti soltanto all’intervento doppio del Pandemic Emergency Purchase Programme e del quantitative easing della Bce, misure di politica monetaria non convenzionale che non dureranno all’infinito e che quindi con il debito pubblico oramai verso quota 160% e l’Europa che non potrà sospendere sine die le regole del Patto di Stabilità (anche se i paramenti potrebbero venir modificati), c’è solo una strada che può mettere al sicuro il Paese dal rischio default: quella della crescita.
"Il debito e la crescita devono bilanciarsi correttamente. Oggi abbiamo una fase in cui è indispensabile fare debito e lo si sta facendo in tutto il mondo, ma nel 2021 il debito futuro raggiungerà livelli che porranno dubbi sulla sostenibilità se non ci sarà crescita”, ha spiegato infatti il numero uno della prima banca italiana al webinar del Messaggero: "Obbligati a Crescere. I nuovi confini dell'economia". “Siamo uno dei Paesi - ha aggiunto - dove se immaginiamo una crescita del Pil al 2% e un avanzo primario all'1% il nostro rapporto debito/Pil scenderebbe al 135% nel 2035: parliamo di numeri enormi”.
La soluzione quindi per il banchiere deve arrivare da “un’accelerazione (della crescita del Pil, ndr) superiore, sopra al 2% gestendogli attivi. Pensiamo che oggi gli interessi passivi che paghiamo sul debito, ci impediscono di fare investimenti su salute e giovani e, quindi, il debito è un aspetto di grandissima attenzione. Io da tempo ho posto l'attenzione sull'utilizzo del patrimonio pubblico perché un Paese con due trilioni e mezzo di debito e un trilione di attivi non è gestito correttamente; è importante che sia, quindi, tutto focalizzata sulla crescita”.
Quanto alle risorse europee del Recovery Fund, l'Italia deve fare in modo che siano indirizzate "su poche cose che siano importanti come acceleratore della crescita", evitando "mille interventi a pioggia" che non consentono di far ripartire l'economia. Le priorita', "oltre al green e al digitale, dovrebbero essere gli investimenti per le infrastrutture, che rappresentano l'unico vero acceleratore che puo' creare occupazione e crescita nel breve periodo, e la formazione dei giovani".
Messina poi ha affrontato il capitolo del risiko bancario in Italia. "Noi abbiamo già fatto, ci siamo mossi al momento giusto e nel modo giusto ed è sotto gli occhi di tutti che le scelte prese nei momenti giusti portano le aziende a poter continuare i percorsi con grande serenità”, ha spiegato riferendosi all’offerta pubblica di scambio lanciata da Intesa su Ubi Banca e portata a termine con successo quest’estate. “Indubbiamente il settore bancario italiano ed europeo ha necessità di concentrarsi e credo prima avvereranno le concentrazioni a livello domestico e poi si passerà a quelle internazionali".
"Nei percorsi di aggregazione bancaria - ha aggiunto - è fondamentale riuscire a individuare la leadership; se nascono, come nel nostro caso con Ubi, come operazioni rivolte al mercato - un'operazione molto ostile ma certamente rivolta al mercato - è chiaro chi comanda e chi riesce a gestirla; se invece raggiungi il consenso di diversi attori si pone l'aspetto di chi comanda nelle aggregazioni e questo è uno dei passaggi ha reso più lente le aggregazioni nel nostro Paese negli anni passati".
"Credo che oggi - ha sottolineato ancora - ci sia la consapevolezza che bisogna accelerare, ci sono diversi soggetti sul mercato che possono combinarsi tra di loro. Credo che sia indispensabile che questo accada il prima possibile, perché quando ci sarà il round dei consolidamenti europei il nostro Paese dovrà disporre di due-tre gruppi bancari forti che potranno posizionarsi in Europa come leader per favorire l'Italia nel contesto europeo”. Insomma, UniCredit e Banco Bpm: chi ha orecchie per intendere…