Pioneer,mancato patriottismo di Unicredit?Costringe Amundi a usare la sua rete
Se saranno confermate le cifre circolate finora Unicredit potrebbe incassare tra i 3,2 e i 3,6 miliardi,rinunciando però al 10% degli utili previsti per il 2018
Lo stop alla riforma costituzionale e le inevitabili quanto preannunciate dimissioni di Matteo Renzi aumentano l’incertezza che grava sull’intero comparto bancario italiano, alle prese con una delicata fase di ristrutturazione e pulizia dei bilanci. Ne paga le conseguenze anche Unicredit, che pure annunciando in apertura di giornata la scelta del colosso francese Amundi come unico candidato con cui proseguire in esclusiva le trattazioni per la cessione di Pioneer Asset Management avrebbe potuto contenere ripercussioni eccessivamente negative.
In realtà a metà mattinata, con una volatilità in deciso aumento, il titolo sfiora il 4% di perdita, oscillando appena sopra i 2 euro per azione e scivolando così sotto gli 1,4 miliardi di capitalizzazione, certo non un buon viatico in vista di un aumento di capitale da lanciare tra febbraio e marzo prossimo che si cercherà di limitare a 6-8 miliardi di euro tramite cessioni e azioni di liability management ma che potrebbe superare i 10 miliardi di euro. Meglio va agli altri pretendenti tricolori, che ora escono di scena: Poste Italiane in tarda mattinata sfiorava l’1% di rialzo sopra i 5,90 euro per azione, mentre Anima Holding cedeva poco più di un punto.
Le valutazioni di Pioneer Asset Management da settimane oscillano, secondo indiscrezioni, tra i 3,2 e i 3,6 miliardi di euro, ma a far propendere per il gruppo francese, che consolida così la sua leadership europea, sembrerebbero essere state considerazioni di natura commerciale (non disponendo di una propria rete distributiva in Italia, Amundi dovrà poter continuare a far affidamento su FinecoBank e sugli sportelli Unicredit), che avrebbero prevalso sulla senso di “patriottismo finanziario” legato alla presenza di svariati miliardi di titoli di stato italiani nei portafogli di Pioneer AM, su cui pende il rischio (per ora evitato, come ha confermato una nota di Standard & Poor’s) di un futuro declassamento del rating sovrano italiano se la crisi politica dovesse ulteriormente incancrenirsi.