Economia
Rai: in calo le quotazioni di Laura Cioli, si riapre la corsa al ruolo di ad
Si rimescolano le carte sul tavolo delle nomine: Draghi deciderà in autonomia il successore di Fabrizio Salini
Perde forza la pole position di Laura Cioli per la poltrona di amministratore delegato della Rai. Dopo il rinvio di inizio giugno dell’assemblea della Rai per il mancato accordo sul presidente da parte dei partiti politici, dai boatos che arrivano dai Palazzi romani l’unico punto fermo che sulla nuova tornata di nomine dei vertici della tv di Stato è solo l’altenanza di genere. E cioè che nel caso in cui si opti per un presidente uomo, il ruolo di Ceo spetterà a una donna e viceversa.
Fonti riferiscono ad affaritaliani.it che per quanto riguarda il o la manager che dovrà andare a raccogliere l’eredità di Fabrizio Salini, il premier Mario Draghi deciderà in autonomia con lo stesso metodo con cui è stata riempita la casella, si spiega, di Cdp, mentre la presidenza sarà il frutto di una precisa intesa con le forze politiche, prodromica all’ottenimento, poi, del via libera in commissione di Vigilanza con una maggioranza di due terzi.
Le fonti spiegano che un quadro più chiaro si potrà avere la prossima settimana, lunedì o martedì, immediatamente alla vigilia dell’assise in prima convocazione (al 12 luglio in seconda) quando bisognerà iniziare a tirare le fila sui vertici.
Ma quel che par di capire è che le due top manager, i cui nomi erano circolati per il ruolo di Ceo e cioè l’ex Rcs Laura Cioli e l’amministratore delegato in uscita di Open Fiber, Elisabetta Ripa, non dovrebbero esser della partita. Tornata in cui la Cioli, per il curriculum di estremo prestigio che l’ha vista in posizioni apicali in Eni, Sky, Cartasì, Rcs e Gedi, era data in pole position, anche per un sostegno, si dice del ministro per l’innovazione tecnologica Vittorio Colao, con cui ha collaborato ai tempi di Vodafone.
Invece, fonti che la conoscono bene rivelano che, a meno di convincimenti e dietrofront dell’ultima ora, in Laura Cioli è probabile che prevalgano le considerazioni negative per un incarico in cui, oltre a vigere il tetto dei 240 mila euro annuali di retribuzione per gli stipendi dei manager pubblici, si finisce per diventare per un triennio il bersaglio dei partiti politici.