Si afferma il cohousing in Italia. La mappatura dell'abitare collaborativo.
Si è conclusa la terza edizione di Experimentdays Milano 2017, la fiera dell’abitare collaborativo
Durante l’evento è stata presentata la prima mappatura del fenomeno di condivisione, che se correttamente potrebbe essere definito "cohousing" o "abitare collaborativo", si è anche identificato nel tempo in termini come "ecovillaggio" o "coabitazioni giovanili" a seconda di specifiche caratteristiche strutturali. In ogni caso alla base dei progetti si pongono obiettivi di recupero ambientale, nella metà dei casi, o di realizzazione di nuove costruzioni estremamente rispettose dell'ambiente, nell'altra metà.
I RISULTATI DELL'INDAGINE SUL COHOUSING
L’indagine ha preso in esame 40 abitazioni, tutte iniziative che rispondessero almeno due delle seguenti condizioni:
- L’esistenza di spazi comunitari esterni e interni (sale comuni, area giochi, terrazzi, orti)
- La presenza di servizi e/o attività gestiti dalla comunità di abitanti (lavanderia condominiale, Gas, banca del tempo)
- L’adozione di un processo di progettazione partecipata
«In questo modo abbiamo potuto valorizzare tutte le esperienze nella loro varietà». Ha commentato Liat Rogel, co-fondatrice di HousingLab, organizzatore italiano della manifestazione. «Casi ed esempi di abitare collaborativo ci sono pervenuti da diverse parti d’Italia. Tuttavia, Milano si conferma essere il suo centro nevralgico. Da qui la scelta di continuare a organizzare Experimentdays nel capoluogo lombardo, in collaborazione con il Comune di Milano, che ringrazio per la partecipazione e per i contenuti che ha saputo dare alla manifestazione».
LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEL COHOUSING MAPPATO
Dalla mappatura emerge che le 40 abitazioni recensite si posizionano prevalentemente nell’Italia settentrionale, in particolare Piemonte e Lombardia, con alcuni esempi anche in Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e, quelli più a sud, in Toscana. Il primo caso di abitare collaborativo risale al 2001. Il secondo invece al 2008. Dopo quell’anno, questi esempi pionieristici vengono affiancati da iniziative in costante crescita. Tra il 2010 e il 2014 infatti, si contano 14 progetti ideati e insediati. L’incremento maggiore si è verificato poi in questi ultimissimi anni.
Per quanto riguarda il profilo degli abitanti, la mappatura indica che quasi il 40% delle persone che vivono in abitazioni collaborative rientra nella fascia di età tra i 36 e i 65 anni. Il 30% è tra i 19 e i 35 anni. Infine gli over 60 e i minorenni sono rispettivamente il 20% e 10% degli abitanti. Incrociando poi il dato con le abitazioni che si definiscono cohousing – 21 dalle 40 mappate – si registra un aumento significativo di bambini e ragazzi minorenni, la cui percentuale raggiunge il 20%, di cui il 14% rientra nella fascia 0-10 anni. Mentre cala all’ 8% il numero degli over 65.
COHOUSING FENOMENO DI INCLUSIONE SOCIALE E DI SOSTENIBILITA'
La mappatura conferma inoltre che l’abitare collaborativo è un fenomeno fortemente orientato all’inclusione sociale. Quasi la metà delle abitazioni collaborative censite prevede l’esistenza di appartamenti dedicati a fasce deboli della popolazione, per la maggior parte attraverso la formula della locazione temporanea.
L’indagine sottolinea poi che la sostenibilità ambientale è uno dei motivi scatenanti per l’avvio di un progetto di abitare collaborativo. Più del 60% delle iniziative di co-housing infatti ha recuperato edifici esistenti. Il restante 40% si è concentrato nella realizzazione di un nuovo edificio. In tutti i casi però sono stati raggiunti standard altissimi di certificazione energetica. La sostenibilità ambientale non si misura soltanto con la classe energetica degli edifici ma da uno stile di vita sostenibile che diventa possibile grazie alla condivisione di alcuni spazi e servizi.
Nelle abitazioni collaborative i vicini condividono il parco-giardino (33 dalle 40 recensite) e coltivano orti (18). All’interno, 31 sale ricreative e multiuso e 26 lavanderie condominiali. Inoltre, in 19 abitazioni è presente uno spazio per il fai da te e in circa un quarto una sala per i bambini. Altri spazi condivisi che meritano una segnalazione sono: foresteria o appartamento per gli ospiti (8 casi), coworking (6), spazio per lo sport (6), piscina (3), fino ad arrivare a una sauna, un teatro e un auditorium.
ATTIVITA' COLLABORATIVE
L’indagine illustra anche le attività collaborative. Si registrano infatti esempi di acquisto solidale (16), condivisione di wifi (15) e laboratori artistico-artigianali (16). Nelle abitazioni collaborative ci si aiuta a vicenda in maniera spontanea e gratuita. Gli aiuti reciproci riguardano soprattutto il prestito di attrezzi o strumenti (21 casi) e la realizzazione di commissioni (14). Rilevante è anche l’aiuto nella gestione dei figli, per esempio nel loro accompagnamento a scuola (12 abitazioni) e nella loro cura (10 abitazioni). In 7 abitazioni ci si aiuta anche economicamente.
In generale l’abitare collaborativo offre spazi e servizi al quartiere. Più dell’80% delle abitazioni infatti apre i propri spazi al pubblico. Oltre la metà degli esempi di abitare collaborativo organizzano attività per il quartiere o la città, spesso in collaborazione con l’amministrazione o con altre associazioni del territorio.
LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
«Riconoscendo la validità dei modelli abitativi – dice Gabriele Rabaiotti, assessore alla Casa del Comune di Milano – che sostengono forme di collaborazione e di mutualità, riaggiornando principi e valori già cari alla cooperazione abitativa, ritengo che il ruolo della Pubblica amministrazione sia quello di sostenere con particolare forza e decisione tutte quelle esperienze residenziali che aprono spazi e servizi alle popolazioni e alle famiglie più fragili. È per noi decisivo il rapporto che si viene a costruire tra chi abita un edificio perché può permettersi di sceglierlo e chi invece si trova “fuori” perché fatica a recuperare soluzioni nel mercato ordinario. La città ha bisogno di crescere ricercando maggior dinamismo e mobilità, anche sui temi abitativi. Ed è questa la direzione in cui siamo chiamati a lavorare, esplorando anche nuove forme di partenariato col privato e il privato sociale».