Economia
Sud, quello che la Camusso non dice
di Pietro Mancini
Camusso a "Repubblica TV" : "Bisognerebbe essere coscienti che o si chiude la forbice tra Nord e Sud o annunciare l'uscita dalla crisi è una finzione. Siamo di fronte a fenomeni gravi, soprattutto l'entità della disoccupazione tra i giovani. Uno che piange non è un gufone, un nemico. Questo atteggiamento dimostra la volontà di Renzi di non voler affrontare i drammi del Paese". Ma anche la Cgil, gentile donna Susanna, ha sottovalutato i drammi del Sud, privilegiando la difesa degli occupati e, molto raramente, battendosi pro-Mezzogiorno.
Dunque, la leader della Cgil faccia una profonda autocritica. Camusso e i suoi predecessori, tutti "nordisti", hanno subito il movimento, che ha avviato, nei decenni passati, l'eclisse della questione meridionale, mettendo in discussione non solo l'efficacia dell'intervento straordinario, ma la sua stessa legittimità. E non soltanto è stata abolita la Cassa del Mezzogiorno, ma anche avviata la dismissione dell'industria di Stato. Il sindacato, come i partiti, non ha contrastato, con la necessaria fermezza, la tendenza della Lega Nord a rappresentare tutto il Sud come un'area infestata dalla corruzione, dall'inefficienza della pubblica amministrazione.
Con le sue strutture locali, la Cgil avrebbe dovuto supportare gli amministratori meridionali, convincendoli a bandire le vecchie forme di assistenzialismo, elaborando proposte innovative e credibili. E, soprattutto, collaborando con gli assessori e i funzionari nella gestione delle risorse, che in passato è mancata, per la spesa dei miliardi dei fondi, provenienti da Bruxelles. La vera e propria crisi della rappresentatività, che soprattutto al Sud ha travolto i partiti, trasformandoli da centri di dibattiti politici e culturali in coacervi di interessi clientelari e di sottogoverno, ha colpito anche il sindacato.
Non c'è più il Psi, e da molti anni è morto Rodolfo Morandi (1903-1955) che, tra i dirigenti nazionali dei partiti di sinistra, fu tra i più attenti ai problemi del Sud, alla questione meridionale, all'esigenza di affrontarla, in modo continuo e organizzato, non superficiale, non intermittente. Quando, da ministro dell'Industria del secondo e terzo governo De Gasperi, insieme con Pasquale Saraceno e altri, fondò la Svimez, Morandi creò una struttura di studio, di ricerca, di organizzazione aggiornata che, in quegli anni, ebbe un'importanza e una concretezza ben più rilevanti di tutte le declamazioni verbali e delle affermazioni retoriche, di cui era ridondante il meridionalismo ufficiale.
Camusso e anche i Governatori e i giovani dirigenti del PD dovrebbero leggere, o approfondire bene, i libri di Morandi, in primis la sua "Storia della grande industria moderna in Italia", e meditare il pensiero politico del vice di Pietro Nenni, nel Psi. Questa l'attuale idea morandiana : nel Mezzogiorno, dove gli enti locali erano, e sono, dilaniati dagli scontri tra consorterie, dove il sindacato era ed è debole, la cultura e la pratica amministrativa sono collegate a elementi riprovevoli, l'elemento-guida della vita locale doveva, e deve, essere trovato in un raccordo, organizzativo e politico, attorno al quale si possano radunare forze e intelligenze. E la Svimez fece parte di questo disegno. Fu, infatti, il tentativo di cercare intelligenze, di cui oggi si avverte la mancanza, capaci di sviluppare analisi, di approfondire i problemi, di far studiare ai giovani le grandi questioni dello sviluppo, di discutere di banche, di industria.
Le cause del deserto, produttivo e occupazionale, del Mezzogiorno sono tante. Ma, tra queste, figura la scomparsa non solo dei partiti tradizionali, guidati da dirigenti onesti e competenti. Ma anche del ruolo attivo, di spinta, dei sindacati, che erano centri di azione, di pensiero, di attività, di intelligenze, di cultura, di fatti democratici positivi, suscitatori di grandi movimenti di massa. In Calabria, dopo aver toccato l'impressionante cifra di 40 mila unità, i forestali sono poco meno di 10 mila. Molti di costoro sfiorano i 60 anni di età e, qualche tempo fa, l'assessore regionale disse che tanti di loro non sarebbero in grado di spegnere un incendio.
I governi, di fronte alle proteste dei sindacati, che ventilano il rischio dell'inserimento della 'ndrangheta, scelgono, sempre, gli strumenti, che hanno caratterizzato gli interventi dello Stato nel Sud. Essi ricordano le stagioni dell'assistenzialismo "paludoso", lo definirebbe Renzi. Perché la Camusso non mobilita la Cgil, nelle regioni meridionali, per bandire, per sempre, le elargizioni clientelari, gli stipendi assicurati dalle pubbliche amministrazioni a chi non fa nulla, le opere pubbliche, che diventano opere incompiute, i fantomatici progetti di lavoro, definiti "socialmente utili" ? Sono elementi e ricette, deboli, che hanno contribuito a emarginare, sempre più, il Mezzogiorno dal Nord e dal centro del Paese.
Sorprende come il governo, ma anche i partiti e i grandi sindacati, non si rendano conto che il Sud abbia molto più bisogno di cervelli, di cultura, di professionalità, di moderna imprenditoria, di sostegni all'agricoltura e al turismo. Si apra, a settembre, un grande e costruttivo confronto tra governo, sindacati, rappresentanti delle Regioni e delle industrie, nazionali e locali, per tentare di bloccare la fuga dal Meridione della generazione "no work". Ogni laureato, che emigra dal Sud, lascia alla collettività meridionale un buco di circa 300 mila euro : 185 mila le spese a carico della famiglia e 117 mila in conto alle varie istituzioni.
L'emigrazione, cari Renzi e Camusso, rappresenta, quindi, anche un macigno per le già disastrate finanze del profondo Sud : mediamente, 12 miliardi annui ! Un esborso, che rischia di aumentare, in quanto il fenomeno è in ascesa tra i giovani, le prime vittime della crisi occupazionale, pronti a ingrossare le fila dei nuovi migranti.
E, purtroppo, a progettare le "fujute", come le definì il grande Eduardo, sono i laureati e gli studenti, mentre più rassegnati a restare sono i giovani, che non studiano e non lavorano.