Economia
Ue, Sure batte Mes 16-0. Tutti contro il Fondo salva-Stati
Per capire meglio il fallimento del MES basta rapportarlo al successo di un altro strumento di finanziamento straordinario come lo SURE
di Daniela Rondinelli, deputata M5S al Parlamento europeo
Negli ultimi mesi si è acceso nel nostro Paese un vivace dibattito politico stile calcistico tra chi tifa MES sì, con esponenti della coalizione che vogliono far passare noi del M5S come irresponsabili, che non capiscono la grande opportunità di avere così, con uno schiocco di dita, 36 miliardi come se piovessero dal cielo senza colpo ferire; e noi che continuano a dire MES no, perché è uno strumento pieno di insidie, non idoneo a rispondere all’emergenza pandemica e soprattutto fuori dal tempo se consideriamo le sue finalità macroeconomiche per cui era stato concepito.
Ho trovato quindi molto opportuna l’analisi di Lucas Guttemberg dell’Istituto Jacques Delors di Berlino (il cui Presidente è Enrico Letta esponente del MES Sì della prima ora, ma forse ora ci sta ripensando?) che in questi giorni ha pubblicato un interessante studio, ripreso anche dal Financial Times, con cui si sancisce il fallimento del MES. Un’analisi spietata che si fonda sul principio che, a fronte di una nuova ondata pandemica più vasta della prima, nessuno Stato europeo ha fatto richiesta volontaria di attivazione del MES, né ha intenzione di farlo (tranne Cipro che ci sta ancora pensando).
Ciò rende di fatto il MES assolutamente inutile e marginale sia nei processi europei che nazionali.
Secondo Guttemberg c’è qualcosa di più di un mero effetto stigma alla base del non utilizzo del MES, che va ricercato nei suoi meccanismi di finanziamento, attivazione, governance e condizioni imposte per il rientro dal debito contratto.
Per capire meglio il fallimento del MES basta rapportarlo al successo di un altro strumento di finanziamento straordinario come lo SURE. Il risultato è evidente: 16 a 0! Sì perché 16 sono i Paesi che in poche settimane hanno deciso di farvi ricorso per sostenere i costi aggiuntivi a tutela dei livelli occupazionali e dei lavoratori a fronte della pandemia. L’Italia, come è noto, ne è il primo beneficiario con 27,4 miliardi sui 100 disponibili, di cui 10 miliardi arrivati in questi giorni.
In Italia il dibattito sul MES si è spesso focalizzato e limitato all’analisi di due soli dati, ossia il tasso estremamente vantaggioso con cui vengono erogati i prestiti e la teorica assenza di condizionalità.
A ben guardare SURE ha con il MES il comune vantaggio di un tasso agevolato sui prestiti ma i due strumenti differiscono nel meccanismo di negoziato sulle condizionalità: per quanto riguarda il MES ciò avviene nell’ambito di una struttura esterna all’UE, mentre lo SURE è uno strumento dell’Unione a tutti gli effetti, sotto il controllo della Commissione e del Consiglio.
Quindi, nel momento in cui bisogna negoziare un prestito, un conto è farlo con un Fondo internazionale governato da un Trattato intergovernativo europeo che rappresenta interessi legittimi di singoli Governi Nazionali, nei confronti dei quali ci si indebita con tutto ciò che ne consegue nei rapporti bilaterali e multilaterali; un conto è farlo con le Istituzione europee dentro un quadro di norme europee concepite e concordate da tutti i Paesi europei proprio per disciplinare misure economiche nuove e eccezionali per fronteggiare l’emergenza pandemica.
E’ ovvio quindi aspettarsi che le condizioni negoziate non possano essere le medesime, ancor più se si pensa che per quanto riguarda il MES sussiste una comprovata ed evidente sfiducia reciproca tra creditori e debitori, ossia tra gli stessi Governi che hanno appena concluso con estrema diffidenza e tanta difficoltà l’accordo sul nuovo Quadro Finanziario Pluriennale e il Recovery Plan.
Altro elemento a vantaggio dello SURE è che la Commissione ha creato un meccanismo nuovo e virtuoso per finanziare questo strumento, denominato “social eurobond”, che peraltro ha avuto un’accoglienza record sui mercati finanziari, la prima tranche da 17 miliardi ha ricevuto domande di acquisto superiori a 13 volte il valore dell’offerta disponibile. E’ l’Unione europea quindi che diventa entità economica – e quindi politica – che eroga emissioni di titoli di debito europei. Nel caso del MES invece sono i singoli Stati a contribuire, ciascuno emettendo i propri titoli di debito pubblico, con conseguente ed evidente competizione tra gli stessi Stati europei sui mercati.
Ultimo elemento da non sottovalutare riguarda non tanto i tecnicismi finanziari quanto il confronto, ovvero lo scontro, tra due diverse visioni dell’Europa. Il MES, sebbene riadattabile per finanziare la crescente spesa sanitaria legata Covid-19, nasce nel decennio scorso allo scopo di salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro attraverso l’erogazione di prestiti allo Stato in difficoltà basata, sulla base di rigidi sistemi di controllo del debito che conduceva fino a dure politiche di austerità che hanno portato alcuni Stati Membri a smantellare quello stesso sistema sanitario che ora, con il nuovo MES, si vorrebbe rilanciare.
Lo SURE nasce dal principio di sostenere l’aumento del debito per le spese sociali e legate al lavoro con un meccanismo più equo e solidale di condivisione del debito, lasciando al Recovery Plan la funzione di sostenere e stimolare contemporaneamente le politiche espansive e di investimento di lungo periodo.
Il concetto alla base dello SURE è semplice: non ci può essere una vera ripresa economica senza ripresa sociale. Non è secondaria quindi la scelta di un meccanismo che restituisce centralità al progetto europeo attraverso un intervento diretto sulla sfera sociale, sull’occupazione e sulla formazione permanente dei lavoratori, obiettivi questi che nel decennio passato sono stati completamente ignorati se non addirittura avversati.
E’ evidente che non si tratta più di un semplice confronto Italia-Spagna contro il resto dell’Europa sull’utilizzo del MES ma della posizione unanime di 27 governi che per una serie di valutazioni politiche, seppur molto diverse tra loro, dicono NO al MES. Fatto sta che le differenze di impatto tra MES e SURE restano abissali, non solo dal punto di visto tecnico ma anche delle ricadute sui cittadini e delle valutazioni politiche.
Nei prossimi mesi, insieme alle battaglie per l’abolizione del Patto di Stabilità, sospeso fine alla fine del prossimo anno, per il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo e per l’aumento del budget europeo grazie alle risorse proprie, si dovrebbe definire un quadro europeo di nuovi strumenti finanziari sul modello dello SURE abbandonando il MES oramai divenuto obsoleto nei fatti.
Immaginando una staffetta tra il vecchio e il nuovo che avanza, l’economista di Sciences Po e della Luiss, Francesco Saraceno, ha recentemente proposto uno “SURE della sanità”, proprio per ripartire da ciò che sta funzionando e portare l’Europa verso un futuro diverso. Un pensiero che può definirsi ovvio oltre che condivisibile, dato che non ha senso immaginare 750 miliardi del MES fermi nell’attesa che qualche Paese alla fine decida di accedervi.
Sinceramente ritengo che non ci dovremmo porre un freno né un limite su questa partita da cui dipendono i destini dell’Unione Europea e di mezzo miliardo di cittadini che esigono giustamente delle risposte. Dovremmo andare oltre il dibattito sterile “MES Sì o No” perché è già superato dai fatti. Il nostro dibattito nazionale ed europeo dovrebbe guardare più lontano e spingerci a chiedere per quali settori serva un meccanismo di sostegno sul modello SURE e per quali invece siano indispensabili dei trasferimenti. Per questo non dovremmo fermarci alla sanità, ma immaginare dei “green bond” o dei “digital bond”, oppure analoghi strumenti per settori produttivi particolarmente sotto pressione come agricoltura, trasporti e energia, o determinate categorie di aziende come le PMI.
Una crisi profonda come questa ci mette davanti alla necessità di guardare avanti e saper immaginare un futuro diverso con un pizzico di creatività ma anche con una sana dose di realismo per far capire, anche ai più riottosi, che la riproposizione di misure sbagliate già sperimentate nel passato non può essere alla base di un futuro migliore. E’ in corso una battaglia nelle stanze di Bruxelles su quale futuro dare all’Europa perché i più si sono accorti che il risultato è SURE batte MES 16 a 0.