Economia
Tim Brasil cede il 51% della rete: la partita italiana appesa all’Ue
Gubitosi ha dismesso il 51% della società che cura la fibra in Brasile. In Italia, nella rete unica, vuole conservare la maggioranza. Che cosa c'è dietro?
Se Telecom Italia ha mantenuto tutto sommato dritta la barra nonostante le temperie degli ultimi anni lo deve in particolar modo a Tim Brasil. La branch sudamericana dell’ex-Sip, infatti, rimane – pur con le ovvie difficoltà causate dal Covid – la vera gallina d’oro. Allora perché si è deciso di dismettere una parte del business della rete? Andiamo con ordine. È notizia della tarda serata brasiliana l’intenzione di Tim Brasil di cedere il 51% di una nuova società, FiberCo, specializzata nella gestione dell’ultimo miglio della connessione. Obiettivo, fare cassa garantendo l’ingresso dei privati attraverso una strategia ad alto rendimento.
Calcolatrice alla mano, anche se le cifre non sono state rese note, gli analisti di Banca Akros fissano l’enterprise value tra i 650 milioni e il miliardo di euro. Al momento – e fino al 24 marzo – l’esclusiva per l’acquisto del 51% di FiberCo viene data a Ihs Brasil perché ha fatto la migliore proposta. In Brasile in questo momento il business della rete è molto interessante, tanto che le offerte per acquisire aziende del settore devono essere intorno a 12-15 volte l’Ebitda.
Tim Brasil non è la sola che vuole dismettere l’ultimo miglio della rete (o almeno, ridimensionarlo) nel continente americano. Anche America Movil del magnate messicano Carlos Slim Elù è pronta a valutare lo spin off delle torri di tlc per un valore totale di circa 10 miliardi.
Domanda: perché c’è bisogno di soldi per Tim Brasil? La prima risposta ovvia è che deve essere finanziata l’acquisizione – in tandem con Vivo e Claro – di Oi per cui è stata presentata un’offerta vincolante che dovrebbe concretizzarsi nel 2021. Così facendo, Tim Brasil si ritroverebbe con 14,5 milioni di clienti in più nello sterminato territorio sudamericano.
Altra domanda: dismettere il business della rete è un’attività che riguarda soltanto il Brasile o che potrebbe a un certo punto riflettersi anche in Italia? Al momento non ci sono dati da questo punto di vista. Ma tutto sembra un po’ fermo. Quello che pare certo è che i fondi del Recovery Plan non potranno essere girati a Tim e a FiberCop per la ferma opposizione di Margrethe Vestager, la commissaria Antitrust che già non vede di buon occhio il progetto di rete unica, figuriamoci un intervento pubblico in essa.
Per il momento non ci sono neanche segnali che qualcosa possa andare storto e che da Bruxelles arrivi uno stop al progetto. Ma in attesa di capire che cosa succederà con Open Fiber e a chi finirà il 50% oggi di Enel (termine ultimo a fine marzo), Tim sfoglia la margherita e valuta qualsiasi possibilità. D’altronde, il 24 giugno 2020 è stata perfezionata la cessione del 49% delle quote in Inwit per 2,2 miliardi ai francesi di Ardian – attraverso la costituzione del veicolo Daphne 3 Spa, in cui Tim ha fatto confluire il suo 30,2% della medesima Inwit cedendo poi il 49%, tramite aumento di capitale dedicato, ai francesi – ha permesso di ridurre sensibilmente il debito, quel fardello colossale che ancora oggi appesantisce le spalle dell’ex-Sip. E per il futuro?