Economia
UniCredit, Intesa, Enel, Buzzi e Mediobanca. Borsa, chi festeggia la vittoria dei Tories
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Tanto tuonò che non piovve (quasi) alcuna goccia. I risultati elettorali britannici non solo non fanno cadere il governo Cameron, cosa che nessuno si aspettava, ma anzi rafforzano la maggioranza conservatrice in parlamento, con almeno altri 23 seggi conquistati e la certezza matematica di avere non meno di 330 seggi, ovvero di superare la maggioranza assoluta (326 seggi su 650), grazie al calo dei labourist di Milliband (che perdono 26 seggi scendendo a 230 seggi nella Camera dei Comuni) e l’avanzata dello Scottish National Party (che conquista 56 seggi, 50 in più delle precedenti elezioni) che neutralizza l’Ukip di Farange, che a causa della legge elettorale britannica pur col 12,6% dei voti complessivi (l’Snp è stato votato dal 4,8% degli elettori, ma concentrati nei collegi scozzesi) conquista solo un seggio, mentre a pagare lo scotto maggiore sono i liberal-democratici di Clegg che vedono crollare da 56 a 8 i seggi nella Camera dei Comuni. In termini politici il risultato è il sostanziale azzeramento di ogni opposizione a Cameron, tanto che sia Nigel Farange, sia Nick Clegg come pure Ed Milliband hanno rassegnato le dimissioni ancora prima che fossero assegnati gli ultimi seggi, una volta chiare le dimensioni delle rispettive sconfitte.
La reazione dei mercati è stata subito positiva, con Londra in particolare in crescita di oltre due punti percentuali, anche grazie a una frenata della crescita dei posti di lavoro negli Usa sui minimi degli ultimi sei anni, fatto che consente agli investitori di sperare ancora almeno fino al mese prossimo che la Federal Reserve resti paziente e non alzi già a giugno i tassi sul dollaro. In realtà a turbare la felicità dei mercati e di Cameron potrebbe essere a questo punto solo Nicola Sturgeon che sull’onda del successo elettorale del Snp potrebbe provare a rilanciare un referendum se non sulla separazione della Scozia dal Regno Unito (visto che solo otto mesi fa gli scozzesi sono già stati chiamati a esprimersi in merito e, a maggioranza, hanno detto “no”) quanto meno sulla permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Lo stesso Cameron era apparso disponibile ad anticipare i tempi (un simile referendum era finora atteso per il 2017), quanto meno per offrire un “contentino” alla parte contraria alla permanenza nella Ue dello stesso partito conservatore. Si vedrà poi come andrà a finire, ma i mercati non sembrano voler trattenere il fiato fino ad allora, forse anche perché ci sono tensioni interne all’eurozona ben più pressanti, come la crisi greca, per potersi preoccupare di un referendum inglese (Londra dopo tutto non è nell’euro) da qui a un anno – un anno e mezzo.
A Londra (e in generale in Europa) si festeggia dunque e tra i titoli che brindano al successo dei “tories” vi sono banche e fornitori di gas e di elettricità, visto che tra i punti della campagna elettorale dei “labour” vi erano l’aggravio delle tasse patrimoniali sulle banche e l’introduzione di tariffe fisse per le utenze domestiche. Lloyds Banking Group e Royal Bank of Scotland sono già ripartite a razzo, imitate da Centrica e Sse, ma a breve il rally potrebbe estendersi ad altri nomi del comparto come Barclays, Hsbc o BP, ma anche a nomi del comparto immobiliare, tradizionalmente favorito dalle politiche del partito conservatore. Bellway e Berkeley Group Holdings si sono a loro volta messe in luce, St James Place potrebbe imitarle a breve secondo un’analisi del Credit Suisse diffusa la scorsa settimana che individuava inoltre alcuni nomi come Capita, Bt er Ladbrokes tra i probabili beneficiari di un governo a guida conservatrice e dunque come quelli più a rischio nel caso di una vittoria del Labour Party.