Economia

Unicredit, ora l'ipotesi Mediobanca. Mustier prepara la banca per le nozze

Luca Spoldi

I ragionamenti dei broker dopo l'operazione Fineco

Archiviato il collocamento del 17% di FinecoBank ad un prezzo di 9,8 euro per azione, per un controvalore di poco superiore al miliardo di euro e con un impatto positivo sul Common Equity Tier 1 di 21 punti base, la banca guidata da Jean-Pierre Mustier mantiene una partecipazione di minoranza classificata come “partecipazione finanziaria” di poco superiore al 18% che non potrà toccare per i prossimi 120 giorni senza il previo consenso di Jp Morgan ed Ubs Investment Bank (i due joint-bookrunner del collocamento), ma che in futuro potrebbe consentire un corposo “bis”.

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Inoltre poiché Unicredit ha precisato che questa operazione rappresenta solo “il primo passo di una serie di misure finanziarie complessive in preparazione del piano strategico 2020-23”, alcuni broker non escludono che oltre o in alternativa all’azzeramento definitivo della presenza di Unicredit in FinecoBank (che secondo il suo numero uno, Alessandro Foti, non ha in vista alcuna operazione di acquisizione o integrazione nel prossimo futuro) possa essere messa sul mercato anche tutta o parte della partecipazione di Unicredit in Mediobanca, al momento pari ad un 8,4% e già da tempo classificata come partecipazione “finanziaria” e non strategica.

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Visto che il titolo di Piazzetta Cuccia ai livelli attuali, attorno a 9,2-9,25 euro, si trova non distante dai massimi dell’ultimo decennio dopo aver brevemente superato i 10 euro a fine aprile, l’operazione potrebbe avere un suo “razionale”, specie se le quotazioni risalissero sopra quei 10,2 euro che tuttora rappresentano la soglia di “pareggio” rispetto al prezzo di carico dei titoli Mediobanca nel portafoglio di Unicredit. Ai livelli attuali la partecipazione vale poco meno di 690 milioni di euro, se dovesse risalire sui 10,2 euro arriverebbe a valere circa 760 milioni ed un suo eventuale smobilizzo dovrebbe avere un impatto positivo di una decina di punti base sul Cet1.

Dato che il Cet1 (il rapporto tra capitale ordinario e attività ponderate per il rischio) di Unicredit a fine 2018 era già pari al 12,07% “fully loaded”, destinato a pari condizioni a salire già al 12,28% post collocamento della tranche di FinecoBank, l’eventuale azzeramento della presenza nella banca guidata da Foti consentirebbe di riportare il rapporto attorno al 12,5% e in caso di uscita anche da Mediobanca attorno al 12,6% (o al 12,4% se il 18% in FinecoBank venisse mantenuto e fosse azzerata la quota in Piazzetta Cuccia). Ma perché Mustier sta facendo e potrebbe continuare a fare cassa?

Se lo domandano, tra gli altri, gli analisti di Banca Akros secondo cui la strategia potrebbe rivelarsi utile in un contesto di futuro consolidamento bancario europeo. Di parere analogo sono anche gli uomini di Banca Imi secondo cui Mustier vuole rafforzare la base di capitale anche se resta da capire quali saranno le reali opportunità di reinvestimento. Più dubbiosi appaiono gli analisti di Equita Sim secondo cui posizionare il buffer di capitale rispetto ai requisti Srep nella parte alta di un range che garantisce comunque un ampio margine di sicurezza non sembrerebbe avere molto senso.

Se non, forse (come ipotizzano i colleghi di Mediobanca Securities), per alzare il dividend payout al 50% in vista del ritorno al dividendo ordinario dall’anno prossimo a valere sui risultati 2019, essendo ormai alle spalle l’epoca degli “scrapt dividend”. Insomma, visto che Unicredit ha tempo sino al 2024 per portare a termine il derisking e completare la pulizia di bilancio come concordato con la Bce, e che la copertura al 100% degli Npe rischia di pesare un 7% in termini di minori utili (un 2% se si guarda al solo impatto derivante dall’azzeramento della partecipazione in FinecoBank), l’accelerazione che Mustier sembra voler imprimere potrebbe effettivamente essere legata all’opportunità di cogliere qualche occasione nell’ambito del processo di consolidamento del settore bancario europeo, preparando capitali sufficienti a non dover lanciare aumenti per portare a termine future acquisizioni.

Che poi investire in Commerbank (istituto con un Roe del 3,05%, meno della metà del 7,24% di Unicredit a fine 2018) o in un altro istituto europeo possa essere una buona idea rispetto a mantenere il controllo di FinecoBank ed una partecipazione rilevante in Mediobanca, dovrà essere il management di Unicredit, eventualmente, a dimostrarlo al mercato.