Economia

Unieuro, Rhone Capital esce e fa cassa in un settore che scricchiola

Rhone Capital esce da Unieuro senza fanfare. Incasso complessivo in linea con le quotazioni. Il titolo crolla a Piazza Affari

Unieuro, società di distribuzione di prodotti di elettronica di consumo nata nel 2013 dalla fusione della SGM Distribuzione (fondata dalla famiglia Silvestrini nel 1937 ma ceduta al fondo di private equity americano Rhone Capital nel 2005) e Unieuro (creata nel 1967 da Paolo Farinetti, padre di Oscar, poi fondatore di Eataly, e ceduta nel 2002 alla catena distributiva britannica Dixons Group) debuttò sul segmento Star del listino azionario di Milano nell’aprile 2017, al termine di un collocamento a 11 euro per azione di poco più di 6,9 milioni di titoli (pari a circa il 35% del capitale) ceduti da Italian Electronics Holdings (Ieh).

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Meno di sei mesi dopo, nel settembre 2017, Ieh concesse il “bis” approfittando della corsa del titolo Unieuro (che in borsa aveva toccato un picco storico di 18 euro per azione il 18 agosto) per cedere ad investitori istituzionali (tra cui Amundi, con l’occasione salita appena sopra il 5% del capitale) altri 3,5 milioni di titoli (poco più del 17,5% del capitale) a 16 euro l’uno. Con queste prime due operazioni Rhone Capital (a cui Ieh faceva capo per il 70,46%) e soci (Dixons Retail, socio al 14,96% di Ieh, la famiglia Silvestrini col 9,87% circa e il management col rimanente 4,71%) incassarono in tutto quasi 132 milioni, riducendo al 47,5% la quota di capitale ancora in capo a Ieh e con essa l’esposizione ad un rischio molto elevato.

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Quello rappresentato da un settore, il commercio al dettaglio di prodotti di elettronica di consumo, che in questi anni ha visto le “big five”, ossia Media World, Euronics, Trony, Expert Italia e la stessa Unieuro (che pur continuando a crescere a suon di acquisizioni di concorrenti più piccoli nel 2018 ha dovuto ricorrere a contratti di solidarietà e riduzioni d’orario per non licenziare) passare per successivi fallimenti e accorpamenti, a fronte di margini sempre più ridotti dovuti alla concorrenza esercitata da Amazon e alle campagne a suon di sconti avviate da tutti i grandi distributori.

Subito dopo il collocamento secondario, nell’ottobre 2017, i soci di Ieh dettero il là ad una “scissione parziale asimmetrica” al termine della quale Rhone Capital (fondato nel 1995 da banchiere d’affari italoamericano Robert Agostinelli assieme al banker londinese Steven Langman) salì al 100% di Ieh ottenendo il 70,46% dei titoli Unieuro fino a quel punto posseduti dalla holding, gli altri essendo stati “restituitì”, attraverso otto newco create ad hoc, agli altri soci che sottoscrissero con Rhone Capital/Ieh (ormai al 33,25%) un patto per non effettuare operazioni che potessero comportare l’obbligo di promuovere un’Opa su Unieuro. 

Il patto tra soci prevedeva anche un diritto di prelazione in favore di Rhone Capital/Ieh delle azioni Unieuro in caso di cessione dei titoli, che in quel momento oscillavano attorno ai 15 euro l’una, da parte di ciascuna degli altri aderenti al patto. Passano i mesi, il settore non trova pace, le quotazioni di Unieuro cadono sino a toccare, a fine 2018, un minimo storico a poco più di 9,5 euro, prima di rimbalzare sino a 14-14,5 euro nell’estate successiva per poi cedere nuovamente terreno (11,3 euro il minimo visto a fine agosto).

Una volatilità decisamente fastidiosa anche per un investitore istituzionale, così nel novembre 2019 Rhone Capital/Ieh decide di cedere, sempre a fondi e gestori patrimoniali circa la metà dei suoi rimanenti titoli (3,25 milioni di azioni, il 16,25% del capitale) a 12,95 euro per un controvalore complessivo di 42 milioni circa.

Gli ultimi 3,5 milioni di azioni possedute (il 17,56% del capitale) sono stati infine collocati ieri sera al prezzo di 13,25 euro per azione. Per Rhone Capital l’exit da Unicredit ha comportato 46 milioni di incasso, mentre il totale del valore “estratto” da Unieuro in meno di tre anni dagli azionisti di riferimento è salito a 178 milioni, di cui 181 milioni dal fondo di Agostinelli e Langman, rispetto ad una capitalizzazione di borsa che a ieri sera oscillava sui 288 milioni di euro. 

La reazione, come sempre dopo i vari collocamenti, non si è fatta attendere e in borsa il titolo ha chiuso oggi in calo del 7,6% a 13,32 euro. Risultato: non è chiaro chi alla fine abbia fatto un affare o possa farlo in futuro tra Amundi (tuttora socia al 5%), entrata in Unieuro a prezzi tra gli 11 e i 16 euro, in media poco sopra le quotazioni attuali, e Rhone Capital (entrata nel capitale molti anni prima, sulla base di valutazioni certamente più contenute), che dovrebbe aver ceduto i titoli dal 2017 a oggi in media a circa 13 euro l’uno, leggermente al di sotto delle attuali quotazioni di borsa.

Luca Spoldi