Usa, De Felice (Intesa): "Yellen rimarrà alla Fed. Tassi Usa verso il rialzo"
Il capo economista di Intesa Sanpaolo spiega come cambierà l'economia americana sotto la presidenza Trump
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
E' il debito federale la vera insidia della Trumponomics per gli Stati Uniti. Mentre i mercati sono ancora "in luna di miele con il neo presidente" e l'agenzia Standard&Poor's conferma il proprio rating sugli Usa (AA+/A-1+, outlook stabile), il capo economista di Intesa-Sanpaolo, Gregorio De Felice (nella foto), spiega in un'intervista ad Affaritaliani.it che gli investitori internazionali si stanno "muovendo in terreni inesplorati, perché il conto del programma economico di Trump in termini di debito pubblico va da un minimo di stime di 5,2 trilioni di dollari in più a 7". "Evidentemente - aggiunge De Felice - nessuno crede che il neo presidente farà tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale, perché con un incremento del debito federale di quelle proporzioni incorreremmo in un downgrade". Poi i rapporti con i grandi investitori istituzionali, con la Federal Reserve e i tassi d'interesse a stelle e strisce...
L'INTERVISTA
Come valuta da economista l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca?
"Sono rimasto abbastanza sorpreso dalla reazione del mercato. Me l'attendevo negativa, com'era stata nell'inizio della giornata di ieri e invece le borse, a fine giornata, hanno chiuso in positivo. Andamento che prosegue anche oggi. Evidentemente, gli investitori stanno dando più peso ai temi in favore della crescita presenti nel programma elettorale di Trump".
Si riferisce, ad esempio, al programma espansivo in termini di opere infrastrutturali?
"Si. Un piano complessivo di politica economica che prevede anche una riduzione delle tasse accompagnata da una maggiore spesa pubblica anche per la difesa. Come insegna Keynes, questa è una politica che favorisce la crescita. Da qui, il rialzo di borsa, quello dei titoli di Stato sulla parte lunga della curva e il rafforzamento del dollaro. Il mercato stato talmente ignorando totalmente quelli che invece sarebbero dei fattori frenanti per la crescita, come le dichiarazioni riguardanti il commercio internazionale sulla volontà di rivedere le barriere tariffarie e gli accordi di libero scambio come il Nafta. Da ieri, siamo entrati in un territorio inesplorato".
Perché?
"Non sappiamo quante delle cose raccontate in campagna elettorale Mr Trump riuscirà a realizzare. Il mercato, quindi, gli sta dando il beneficio del dubbio. Fattore positivo. Anche perché non conosciamo nemmeno i componenti della sua squadra di governo. Chi saranno cioè il segretario di Stato o quello al Tesoro e quali saranno i suoi economic advisor".
C'è incertezza, poi, anche sulla futura reale azione di politica internazionale...
"Esatto, cambieranno realmente i rapporti fra Stati Uniti e Russia? Sarebbe, ad esempio, positivo se una distensione delle relazioni Washington-Mosca portasse a una eliminazione delle sanzioni economiche nei confronti della Russia, tensioni che hanno un'origine politica e militare. La ritorsione economica è uno svantaggio anche per la crescita europea e internazionale. Sarebbe un bene per tutti se Trump e Putin trovassero una distensione senza fare i guerrafondai in giro per il mondo, dall'Ucraina alla Siria. Le incertezze sono davvero ancora tantissime. Mentre la Clinton avrebbe rappresentato una continuità con il passato, con tutte le zone d'ombra di una politica estera obamiana certamente non vincente, ora ci sono altri tipi di incognite. Come spesso succede in questi momenti, governo e investitori sono in luna di miele. I mercati stanno dando fiducia a Trump, fiducia certamente inaspettata sulla base di quanto detto dal miliardario Usa nei mesi di campagna elettorale. Poi, sempre ieri, negli Stati Uniti abbiamo assistito alla giornata della riconciliazione fra il neo presidente, da una parte e Hillary Clinton e Barack Obama, dall'altra".
Clinton alla Casa Bianca sarebbe stato sinonimo di maggiore crescita in futuro?
"Con la candidata democratica alla Casa Bianca avrei visto certamente minore volatilità. Sarebbe stata un'amministrazione più prevedibile sulla base della continuità con la gestione precedente. Siamo in territori inesplorati, perché il conto del programma di Trump in termini di debito pubblico va da un minimo di stime di 5,2 trilioni di dollari in più a 7".
Eppure, stamattina l'agenzia S&P's ha confermato il rating agli Stati Uniti...
"Certo. Evidentemente nessuno crede che Trump farà tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale, perché con un incremento del debito pubblico di quelle proporzioni incorreremmo in un downgrade".
Quindi, si attende una politica economica più moderata...
"Certo. Differente, sempre nella direzione di spingere sulla crescita del Pil attraverso l'incremento del deficit e del debito, ma non nelle dimensioni raccontate in campagna elettorale. Anche perché il suo partito e la disciplina del mercato non glielo permetterebbero".
Al grido di "America First", Trump ha promesso maggiori dazi per tutelare le aziende americane e incentivi per accelerare il reshoring. Alla fine dei suoi quattro anni di mandato vedremo un'economia Usa basata su un'industria più forte?
"Al termine dell'amministrazione Trump avremo un'economia a stelle e strisce forse un po' più autarchica di quella attuale. Staremo a vedere se il nuovo presidente Usa ridurrà la pressione fiscale in modo da spingere le multinazionali americane, che oggi sono fortemente tassate sul territorio nazionale e vanno a produrre oltre confine, a rientrare in madrepatria. Negli Stati Uniti, il prelievo sull'impresa è uno dei più alti al mondo".
Qual è il giudizio su Trump dei grandi investitori istituzionali? Come vedono il neo presidente, ad esempio, i ricchi fondi sovrani mediorientali che durante l'amministrazione Bush e Obama hanno investito senza problemi negli asset americani? Si comporteranno allo stesso modo anche con Trump?
"Lo aspetteranno prima alla prova dei fatti".
(Segue...)