Economia

Vitrano (ClearBridge): "Puntiamo sul'healthcare. Meta è ferita ma non morta"

di Marco Scotti

La portfolio manager, tra le 10 più influenti a livello globale, annuncia nuovi aumenti dei tassi da parte della Fed

Su quali settori vi state concentrando per proteggere gli investimenti?
L’healthcare è il nostro mercato principale, perché sarà meno impattato dalle pressioni inflazionistiche di molti altri. E il Covid non c’entra più niente, è sempre meno rilevante nei bilanci delle aziende del biomedicale. La forza dell’healthcare sta nel fatto che subisce meno di altri la volatilità che caratterizza i mercati in questo momento. 

A proposito di inflazione, che cosa si aspetta dalla Fed?
Powell è stato molto chiaro: il primo obiettivo è ridurre l’inflazione, è la sua priorità principale. Per questo mi attendo che la Federal Reserve continui a essere aggressiva nell’incremento dei tassi: per essere chiari, mi attendo diversi incrementi dei tassi nei mesi a venire. La Fed sa bene che questo avrà degli impatti sui livelli occupazionali, ma è una questione di equilibri: in questo momento il tasso di disoccupazione è piuttosto basso, mentre l’inflazione è all’8-9%. Per questo serviranno diversi mesi per capire se gli aumenti hanno avuto effetto. Poi mi aspetto un momento di pausa per capire quali siano stati i benefici dell’incremento dei tassi. Solo allora si potrà eventualmente parlare di un abbassamento del costo del denaro. 

L’incremento dei tassi da parte della Federal Reserve innesca quello che gli anglosassoni chiamano lo “snowball effect”, l’effetto valanga: i listini mondiali arretrano, l’economia globale si raffredda. Ritiene che Powell dovrebbe guardare anche un po’ al di fuori dei confini americani?
In passato Janet Yellen (presidente della Fed dal 2014 al 2018 e oggi Segretaria del Tesoro, ndr) ha detto che la Fed non poteva non accorgersi di quello che succedeva al di fuori degli Stati Uniti. Oggi però ritengo che la situazione sia diversa e che il presidente Powell abbia dimostrato di volersi concentrare quasi esclusivamente sulla politica interna americana. 

Al di fuori degli Stati Uniti, però, c’è una Cina che diventa sempre più difficile da decifrare: è con Putin? Gioca una partita tutta sua? È un partner affidabile?
In passato spesso ci si è interrogati su quali fossero le differenze tra l’amministrazione Trump e quella di Biden. In realtà, per quanto riguarda i rapporti con la Cina, la verità è che non ci sono grandi divergenze. La preoccupazione intorno all’azione di Pechino è bipartisan. Questo non significa che si possa tagliar fuori la Cina e smettere di fare affari con loro, sono troppo importanti per noi e per l’Europa. Ma le relazioni sono più fredde e continueranno a esserlo, ma è un processo iniziato almeno cinque anni fa. Molte delle multinazionali americane continuano a fare ottimi affari con la Cina, ma per quanto riguarda la produzione stiamo assistendo a un rapido processo di onshoring, cioè di ritorno delle attività entro i confini americani. L’esempio più lampante è quello di Intel, che produrrà semiconduttori negli Usa.

Che cosa pensa che accadrà in mercati emergenti come India e Brasile?
Credo che serva ancora del tempo per comprendere appieno le dinamiche di questi Paesi. Penso soprattutto all’India, che è un mercato estremamente sfidante. C’è una popolazione enorme, con tantissimi potenziali consumatori, ma ci sono scenari che la rendono difficile da comprendere. Prendiamo Netflix, ad esempio, che ha avuto qualche ostacolo nel raggiungimento dei profitti a fronte di un platea da oltre un miliardo di persone.