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Economia
Vivendi, Yannik Bolloré incoronato presidente dal padre Vincent

Trentotto anni 38 anni compiuti il primo febbraio scorso, Yannik Bolloré, secondogenito e delfino designato di Vincent, è stato indicato dal padre come suo successore sulla poltrona di presidente del consiglio di sorveglianza di Vivendi, holding che controlla il 59,2% di Havas, sesta maggiore concessionaria pubblicitaria mondiale, rilevata lo scorso anno (con successivo delisting del titolo) dalla famiglia Bolloré per 2,3 miliardi di euro in totale.

Yannik, che a differenza del padre (legato all'ex presidente francese Nicolas Sarkozy) è in ottimi rapporti con l'attuale presidente francese, Emmanuel Macron, di Havas è attualmente Ceo e presidente, dopo un inizio come cofondatore di WY Productions assieme a Wassim Béji, nipote del produttore franco-tunisino Tarak Ben Ammar. Prima di arrivare ai vertici, però, il giovane Yannik si fece le ossa prima come direttore dell'emittente francese Direct 8, poi come Ceo della controllante Bolloré Media, per poi sbarcare in Havas come vice presidente nel marzo 2011.

Fu proprio Yannik (uno "startupper seriale", visto che in quegli stessi anni aveva avuto il tempo di dare vita a tre società di produzione come Havas Productions, H2O Productions e Direct Cinéma) a vendere il business televisivo di Bolloré Media, nel frattempo divenuto il terzo polo radiotelevisivo privato francese, al gruppo Canal Plus, nel settembre 2011, per circa 465 milioni di euro in azioni Vivendi, partecipazione che portò la famiglia Bolloré a diventare l'azionista di riferimento dell'ex Compagnie Générale des Eaux. Così la sua promozione al ruolo di presidente della holding francese non solo è stata salutata con entusiasmo dal mercato (il titolo Vivendi oggi ha guadagnato quasi il 4% sul listino di Parigi), ma apre nuovi scenari anche in Italia, dove il padre Vincent ha finito col ritrovarsi isolato sia politicamente, avendo perso l'appoggio dell'Eliseo ed essendosi scontrato con Matteo Renzi e il governo italiano, che ha mosso Cassa depositi e prestiti per cercare di garantirsi il controllo della rete d'accesso di Telecom Italia (Tim), d'accordo anche con Lega e M5S, sia nei "salotti buoni" a causa di comportamenti giudicati troppo "disinvolti" come il fallito blitz ai danni dell'ex impero dei Ligresti e in particolare di Sai (con Groupama), poi "pilotata" verso Unipol, l'alterno sostegno ai vertici di Mediobanca e Generali e, da ultimo, il tentativo di scalata di Mediaset.

Yannik può ora partire dai pochi "alleati" rimasti in Italia, come Jean-Pierre Mustier (Unicredit) e Philippe Donnet (Generali), oltre che sul Ceo di Tim, Amos Genish, nominato da Vivendi ma che pare godere di una buona considerazione tanto da parte del mercato quanto di Paul Singer (a capo della "fronda" interna all'ex monopolista telefonico italiano col fondo Elliott Management) per cercare di recuperare i rapporti in primis col "palazzo" e con la famiglia Berlusconi. Un recupero di rapporti che è indispensabile per non mettere la parola fine al sogno di Vivendi di dare vita a una piattaforma di contenuti mediterranea "anti-Netflix" impossibile da fare senza Tim e che un eventuale partnership strategica Mediaset-Sky renderebbe comunque incerta.

Riuscirà il delfino Yannik in un'impresa che non è riuscita a suo padre Vincent? Se gli andamenti del titolo possono essere un segnale significativo del sentiment del mercato la risposta potrebbe essere positiva, visto che Telecom Italia oggi sovraperforma nettamente gli indici di Piazza Affari con oltre un punto percentuale di rialzo a fronte di una borsa stabile dopo i guadagni dell'ultima settimana, mentre Mediaset cede mezzo punto per l'allentarsi degli scenari più speculativi. Per riuscire nell'impresa a Yannik resta tuttavia da superare lo scoglio, ostico, rappresentato da Elliot, che ancora oggi ha sparato a palle incatenate, sottolineano come gli interessi di Vivendi "non sono più importanti di quelli degli altri azionisti", e che "quando le autorità italiane affermano pubblicamente che Vivendi è un azionista pessimo, è chiaro che lo status quo è insostenibile".

 

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