Spettacoli

Blade Runner 2049: la recensione in anteprima con foto esclusive

Marco Zonetti

Dopo 35 anni Harrison Ford torna nei panni di Rick Deckard nell'adrenalinico sequel capolavoro di Denis Villeneuve tra azione, tecnologia e filosofia

Sono passati 35 anni dall'uscita del cult Blade Runner di Ridley Scott, film divenuto immediatamente un cult per gli spettatori di tutte le età, e il regista Denis Villeneuve (Prisoners, Arrival per citare solo due titoli)  accetta la difficilissima sfida di regalare un sequel per il futuro apocalittico e i tormentati personaggi immaginati da Philip K. Dick nel suo racconto Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, vincendo su tutta la linea.

Blade Runner 2049, nelle sale italiane domani 5 ottobre, narra la storia di un altro "cacciatore di replicanti", il giovane  agente di polizia K (interpretato da un convincente Ryan Gosling), anch'egli replicante ma di una nuova generazione rispetto ai ribelli del primo film. La casa produttrice degli androidi, la Tyrell, è stata infatti rilevata dall'imprenditore visionario Niander Wallace (Jared Leto), producendo un nuovo modello di androidi più obbedienti e quindi più affidabili come schiavi. Agli ordini del tenente Joshi alias "Madame" (una gotica Robin Wright) K è incaricato di eliminare senza pietà tutti quei vecchi replicanti che sono riusciti a fuggire e a nascondersi. Ma durante una di queste "missioni di bonifica", il nuovo Blade Runner si troverà di fronte a una scoperta epocale che potrebbe cambiare per sempre le sorti del mondo, trovandosi catapultato in una rocambolesca missione per ritrovare il suo predecessore Rick Deckard (Harrison Ford), scomparso da molti anni. Un'avventura che sconvolgerà per sempre la sua vita, le sue certezze e che lo vedrà scontrarsi all'ultimo sangue con una replicante senza scrupoli, Luv (la splendida Sylvia Hoeks).

Sulla trama non possiamo dire altro: Denis Villeneuve ha pregato di non rivelare spoiler e seguiamo scrupolosamente il suo invito, anche perché Blade Runner 2049 è un'esperienza visiva e sensoriale (lunghissima, 2 ore e 35 minuti) che va affrontata ignari di tutto, lasciandosi sorprendere e scuotere a poco a poco dalle mille rivelazioni e colpi di scena che si susseguono a ritmo serrato nella pellicola. Aiutato dalla colonna sonora incalzante e inesorabile di Johann Jonansson, Hans Zimmer e Benjamin Wallfish (che strizzano l'occhio al Vangelis del primo film), il capace Villeneuve ci conduce come "pascaliane" canne al vento nel grigio mondo eternamente piovoso di K, che tanto potrebbe assomigliare al nostro futuro, costruendo una parabola esistenziale sul potere rivoluzionario dei diversi e degli ultimi. 

Più che mai attuale in questo nostro mondo sempre più tecnologico che vede la recrudescenza della schiavitù umana, Blade Runner 2049 è una sorta di romanzo di formazione, che incanta e travolge come la marea assassina dello showdown tra Ford, Gosling e la supercattiva. Ma le numerose e adrenaliniche scene d'azione, i suggestivi scenari apocalittici tra pioggia e polvere rossa fotografati da Roger Deakins, la love story di K con il sensuale e devoto ologramma Joi (Ana De Armas, che da sola merita la visione del film), il "ritorno" della sfortunata Sean Young nel ruolo della replicante Rachel, sono il semplice sfondo di un racconto più intimista e filosofico: quello della spaventosa alienazione di un replicante fra mille replicanti, un adroide, un robot, uno schiavo al servizio del sistema (ricorda qualcosa?), che si riappropria del proprio io ritrovando la propria identità, la speranza e in ultima analisi la propria condizione di uomo dotato di sentimenti ed emozioni, grazie a un inatteso "miracolo": quello della vita che trionfa su tutto, anche sulla sterile, sempre più invasiva e disumanizzante tecnologia.