Esteri

Brexit, ora l'addio di Londra è ufficiale. Tra Ue, Usa e Cina: il futuro Uk

I rapporti con l'Ue, il rischio di disgregazione interna coi nodi Scozia e Irlanda, l'avvicinamento agli Usa ma senza mollare la Cina. Il post Brexit Uk

Ora è ufficiale. Allo scoccare della mezzanotte di venerdì 31 gennaio, ora di Bruxelles (le 23 in Gran Bretagna), il Regno Unito è uscito dall'Ue, diventando un Paese terzo. L'Unione europea ha perso uno degli Stati membri più grandi, una potenza nucleare che ha un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu (l'Unione passerà da due ad uno, quello della Francia). Si tratta del primo restringimento dell'Ue dal 1957 a oggi. Che cosa cambierà adesso? Ecco una scheda per capire come sarà il Regno Unito fuori dall'Ue e come sarà l'Ue senza Regno Unito.

BREXIT, CHE COSA CAMBIA? ORA VIA AL PERIODO DI TRANSIZIONE

Nella pratica per ora dovrebbe cambiare poco, poiché inizierà il periodo di transizione, che durerà fino al 31 dicembre 2020, a meno che il Regno Unito non chieda una proroga di uno o due anni, cosa che deve avvenire entro il primo luglio 2020 (Johnson lo ha già escluso). Il periodo di transizione non è previsto dai trattati: l'articolo 50 del Tue non contiene riferimenti espliciti alla possibilità di definire un periodo di passaggio, cosa che ha sollevato "una serie di interrogativi", ricorda Guy Verhofstadt nella sua raccomandazione alla commissione Affari Costituzionali.

von der Leyen
 

BREXIT, IL DIFFICILE ACCORDO TRA UE E UK

Per l'Epc, "il futuro accordo Ue-Regno Unito è probabilmente il più insidioso che l'Ue si sia mai trovata a dover concludere". A causa delle tre proroghe chieste da Londra e concesse dall'Ue alla data della Brexit, che avrebbe dovuto verificarsi nel marzo 2019, "la difficoltà è ancora maggiore", ha notato Verhofstadt. La scadenza del periodo di transizione è rimasta "invariata" nel progetto di accordo di ritiro riveduto, con l'accordo trovato tra Ue e Regno Unito che ha eliminato il 'backstop' irlandese, trasformando l'Irlanda del Nord, de facto, in un'area doganale separata dal Regno Unito. Il tempo a disposizione, insomma, è poco: "A meno che non venga presa una decisione di proroga prima del primo luglio 2020, il periodo di transizione non durerà più di 11 mesi", ricorda Verhofstadt. Undici mesi che in realtà sono di meno, dato che il negoziatore Michel Barnier avrà probabilmente il mandato negoziale verso la fine di febbraio e che l'accordo commerciale di massima dovrebbe essere concluso entro l'autunno, per permettere la ratifica.

I TEMI PRINCIPALI DEL NEGOZIATO PER IL POST BREXIT

Anche se i negoziati dovrebbero concentrarsi su alcuni temi di interesse prioritario, come la pesca nel Mare del Nord, in cui alcuni Paesi, come la Francia, hanno rilevanti interessi e che per il Regno Unito ha una grande importanza simbolica, il tempo è comunque poco. Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che è belga, ha detto che un accordo è comunque "possibile". Angela Merkel ha affermato con chiarezza che la Brexit è un "campanello d'allarme" per l'Ue, che dovrà affrontare la "concorrenza" del Regno Unito. Tanto più che l'unità dei 27, che finora ha retto alla luce della relativa comunanza degli interessi per quanto concerne le modalità del ritiro, sarà più difficile da mantenere quando si tratterà di negoziare sugli interessi concreti, che per natura tendono a divergere tra i 27 Stati membri. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha sottolineato più volte che la tempistica è "estremamente sfidante" e che c'è "pochissimo tempo" per negoziare un accordo commerciale. "Se non riusciremo a chiudere un accordo entro la fine del 2020 - ha detto ancora von der Leyen - avremo davanti a noi un'altra situazione sull'orlo del precipizio", come quella che si sarebbe verificata con una Brexit senza l'approvazione dell'accordo di ritiro. Lo spettro del 'no deal' non ha ancora finito di aggirarsi per l'Europa.

Nicola Sturgeon
 

BREXIT E BORIS JOHNSON: IL RISCHIO DI UN REGNO UNITO DISGREGATO. I CASI SCOZIA E IRLANDA

L'identità dell'Inghilterra è uscita rafforzata dalle elezioni del 12 dicembre scorso, molto meno quella British in senso ampio. Già, perché in Scozia i nazionalisti hanno fatto il pieno. Lo Scottish National Party ha conquistato 48 dei 59 seggi a disposizione, guadagnandone 13 rispetto alle elezioni del 2017 (resta imbattuto invece il record di 56 raggiunto nel 2015). Il trionfo della premier scozzese Nicola Sturgeon si è realizzato non solo dai danni del Labour ma anche dei conservatori, che hanno perso 6 seggi in terra di Scozia.Così come è sttao chiaro il voto dell'Inghilterra, è stato chiaro quello della Scozia. L'Snp ha infatti costruito la sua campagna elettorale sul voto anti Tory per dire no alla Brexit. E ora, già prima di Natale, Sturgeon potrebbe chiedere un decreto per concedere un secondo referendum di indipenza dopo quello del 2014. E stavolta tutti gli indizi sembrano far credere che l'esito sarebbe diverso.  La concessione al referendum non è scontata e c'è già chi parla di "scenario catalano", con il governo Johnson non intenzionato a concedere il voto agli scozzesi. Più in prospettiva, è facilmente pronosticabile l'apertura di un contenzioso legato anche all'Irlanda del Nord. La questione del confine tra Belfast e Dublino resta infatti ancora aperta e le spinte alla riunificazione all'interno dell'isola irlandese stanno aumentando. 

LA GEOPOLITICA DEL REGNO UNITO POST BREXIT: FILO TRUMP? SI', MA...

Sul piano geopolitico, il Regno Unito di Johnson sembra indirizzato a rafforzare e riaffermare l'asse atlantista con gli Stati Uniti di Donald Trump, uno dei suoi più grandi sostenitori a livello internazionale. Ma, allo stesso tempo, difficile che Londra tagli i ponti con il principale rivale strategico di Washington, la Cina. Johnson, che punterà a trasformare il Regno Unito in una sorta di Singapore d'Europa, avrà bisogno del maggior numero possibile di canali o accordi commerciali, non solo quello che verrà costituito con Bruxelles entro la fine del 2020. Negli scorsi giorni un anticipo del fatto che le cose sono più complicate di quello che sembrano è arrivato con la decisione di Londra di non escludere Huawei dallo sviluppo della sua rete 5G, facendo infuriare Trump. La Londra post Ue potrebbe riservare delle sorprese.