Esteri
Burkina Faso, uccisi i tre giornalisti sequestrati
I due reporter spagnoli stavano effettuando un servizio sulla caccia illegale: ucciso anche l'irlandese
Il ministro degli Esteri spagnolo, Arancha Gonzalez Laya, ha comunicato in conferenza stampa che sono stati uccisi il giornalista David Beriain, 44 anni, e il cameraman Roberto Fraile, 47 anni: si tratta dei due reporter spagnoli sequestrati da un gruppo di uomini armati che aveva attaccato ieri una pattuglia anti-bracconaggio, con i cronisti al seguito, nell'Est del Burkina Faso. I corpi dei due cronisti, ha aggiunto il ministro, sono stati trovati nel luogo dell'imboscata e le informazioni, al momento, sono ancora "confuse".
La notizia non è stata ancora confermata dalle autorità del Burkina Faso. Ucciso anche il giornalista irlandese che sarebbe stato sequestrato insieme ai colleghi iberici mentre ancora nessuna notizia del cittadino burkinabé, parte del personale di sicurezza, che è stato dato per disperso in seguito all'attacco. I reporter stavano effettuando un servizio sulla caccia illegale. Nell'Est del Burkina Faso sono presenti numerose milizie jihadiste ma non è chiaro se l'agguato sia attribuibile a loro o a criminali comuni.
A rivelare la loro identità è il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez. "Si conferma la peggiore delle notizie. Tutto l'affetto ai familiari e ai congiunti", scrive Sanchez su Twitter, esprimendo "riconoscimento a chi, come costoro, realizzava ogni giorno un giornalismo coraggioso ed essenziale dalle aree di conflitto". Entrambi i giornalisti avevano esperienza in aree di crisi. Fraile, nato a Salamanca e padre di due figli, aveva lavorato in Siria, dove era stato ferito mentre era al seguito della Free Syrian Army.
Originario della Navarra, Beriain aveva realizzato servizi in numerosi scenari di conflitto, tra cui Colombia, Pakistan e Sudan. Beriain aveva inoltre realizzato un documentario sulla 'ndrangheta, 'Clandestino', che gli era costato un'inchiesta della Procura di Milano per truffa in concorso insieme ad altri tre indagati. Secondo le accuse il documentario, che era stato trasmesso nel novembre 2019 dal canale televisivo 'Nove', conteneva sequenze ricostruite con attori in studio che erano state presentate come riprese di vere attività criminali effettuate da giornalisti sotto copertura.