Esteri
Sudamerica continente perso?Maduro più forte in Venezuela,Cile agli estremisti
Due elezioni, molto diverse tra loro, in due paesi lanciano un segnale inquietante sul futuro della regione
Venezuela, in due anni dalle proteste di Guaidò alle nuove elezioni che incoronano Maduro
Poco più di due anni fa, il regime di Maduro in Venezuela sembrava pronto a cadere. Pareva questione di settimane, giorni, persino ore. Donald Trump aveva appoggiato esplicitamente le rivendicazioni e il ruolo di Juan Guaidò, riconosciuto presidente anche da diversi stati dell'Unione europea. Questo non è però mai accaduto. Anzi, poco più di due anni dalle proteste e dal pressing esterno, il Venezuela resta saldamente in mano a Maduro, che è stato anche in grado di organizzare una tornata elettorale alla quale ha partecipato anche parte dell'opposizione, legittimando in qualche maniera un sistema di potere che Stati Uniti ed Europa continuano a criticare ma senza la convinzione di qualche tempo fa.
Uno schema che si ripete in diverse parti dell'America latina, a partire dalla regione del Sudamerica per passsare a quella dell'America centrale. Il percorso di democratizzazione e sviluppo che sembrava essere stato intrapreso sta vivendo un momento di forte riflusso. Oltre al Venezuela, anche in Nicaragua le recenti elezioni sono state una sostanziale farsa messa in scena dal regime di Daniel Ortega per perpetuare il suo sistema di potere basato sull'eliminazione sistematica degli oppositori per via politica ma soprattutto per via legale. Non è tutto. C'è anche una tendenza alla polarizzazione e agli estremismi che ha raggiunto anche un paese insospettabile come il Cile, reduce da una traiettoria di sviluppo economico e politico che lo aveva portato a essere considerato una sorta di "Germania del Sudamerica", o "Finlandia del Sudamerica", come lo ha definito di recente l'Economist.
Sudamerica nel caos politico ed economico, dal Venezuela al Cile
Lo scorso fine settimana si sono tenute due elezioni, molto diverse tra loro ma sintomatiche di questa tendenza. La prima in Venezuela, dove alle elezioni regionali il partito di Maduro ha ottenuto la vittoria in 20 Stati su 23 e a Caracas. Una tornata elettorale caratterizzata dal 58,2% di astensionismo, svoltesi in presenza, per la prima volta da 15 anni, di una missione di osservazione elettorale dell'Unione europea. Oltre al Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) e ai suoi alleati, il vincitore del voto è stato l'astensionismo, spiegato dagli analisti come la conseguenza diretta della divisione dell'opposizione e dai discorsi contradittori dei suoi leader. A Caracas ha vinto l'ex ministro dell'Interno Carmen Melendez, arrivata al primo posto davanti all'oppositore Antonio Ecarri dell'Alleanza Lapiz e all'antichavista Tomas Guanipa della Mesa de la Unidad Democratica (Mud). L'opposizione si consola con le vittorie nello Stato di Cojedes, tradizionale bastione chavista, dove il governatore sarà Jose Alberto Galindez del partito Mud, in quello di Nueva Esparta con Morel Rodriguez Avila del partito emergente Fuerza Vecinal e nello Stato più popoloso del Venezuela, quello di Zulia, grazie alla vittoria di Manuel Rosales, della Mud.
Nel suo discorso pronunciato dal palazzo presidenziale di Miraflores, Maduro ha invitato tutti, vincitori e no, a rispettare anche "il dialogo politico e la riunificazione nazionale". Per il numero due del chavismo, Diosdado Cabello, i risultati conseguiti sono "una garanzia di pace e di tranquillità". Ovviamente, le proteste sono tante. A partire da quelle di Guaidò, che ha organizzato una conferenza stampa nella quale ha dichiarato che il Venezuela "vive in una dittatura" e il 94 per cento dei suoi abitanti vive in uno stato di povertà, quindi i politici devono capire la volontà di cambiamento espressa da chi ha votato per l'opposizione e da chi si è astenuto dal partecipare. "Questo è stato espresso ieri nel silenzio nelle strade, ed è un impegno ancora più grande per unificarci", ha aggiunto.
Venezuela, opposizione divisa e Maduro più forte
Proprio questo è un punto delicato che sembra aver pregiudicato le ambizioni di cambiamento antimadurista. Le opposizioni appaiono polverizzate e divise, incapaci di unirsi su un progetto o una linea comune. Guaidò rivendica ancora un ruolo che nel concreto non ha: "Oggi sono il presidente in carica. Per coloro che hanno aspirazioni presidenziali, l'invito è a lottare insieme perché ci siano elezioni. Le aspirazioni politiche personali non devono prevalere sul bene del paese". Anche gli Stati Uniti hanno bollato le elezioni come una farsa. "Il regime di Maduro ha nuovamente privato i venezuelani del loro diritto di partecipare a elezioni libere e democratiche", ha affermato il segretario di Stato Usa, Antony Bliken. Secondo il capo della diplomazia Usa "il regime venezuelano aveva predeterminato l'esito del voto ben prima" delle consultazioni.
Elezioni in Cile, la scelta è tra estrema destra ed estrema sinistra
Non è una dittatura il Cile, che però cammina sull'orlo di una sottile linea che imporrà una scelta tra estrema destra ed estrema sinistra. Al primo turno delle elezioni presidenziali di domanica ha infatti prevalso Josè Antonio Kast, descritto come un nostalgico di Pinochet, con il secondo posto conquistato da Gabriel Boric della sinistra radicale. Saranno loro due a giocarsi la presidenza nel ballottaggio del 19 dicembre. Un risultato che, sottolineano gli osservatori, getta altro scompiglio ed è fonte di ulteriore incertezza politica nel contesto di fragilità delle istituzioni e di sfide socio-economiche storiche, dopo due anni di fortissime proteste per il carovita e per la richiesta di modifiche costituzionali.
Liberista in economia e ultraconservatore socialmente, con posizioni dure contro l'aborto o il matrimonio per tutti, Kast non vuole essere etichettato come di estrema destra, ma è compiacente con la dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990) e seguace dell'americano Trump e del brasiliano Jair Bolsonaro. In campagna Kast, discendente di immigrati tedeschi in Cile, ha promesso una politica dal pugno duro contro la crescente violenza e la costruzione di una striscia per fermare l'immigrazione illegale nel nord. Dall'altra parte c'è Boric, origini catalane e croate, ex leader studentesco, ecologista e femminista, candidato di Apruebo Dignidad, che unisce il Frente Amplio e il Partito comunista. Leader millenial, ha alle spalle un percorso da attivista di sinistra e adesso detiene il titolo di candidato alle presidenziali più giovane della storia politica cilena. Classe 1986, accusa la democrazia cilena di aver portato avanti un modello economico istaurato dalla dittatura, facendo del Cile un Paese individualista, con una classe media e bassa indebitata per aver accesso a sanità, istruzione e pensione privata.
Comunque vada, rischia di essere un insuccesso.