Esteri

Draghi lo cerca, Xi nicchia. Dal boom moda al caso droni: i nodi Italia-Cina

di Lorenzo Lamperti

Il premier aspetta da oltre due settimane che il presidente cinese alzi la cornetta sul G20. Intanto il M5s si spacca su Pechino, ed esplode un caso droni

Sono passate oltre due settimane. Ma ancora Xi Jinping non risponde a Mario Draghi. Il premier italiano sta cercando da metà agosto, subito dopo la caduta di Kabul in mano ai talebani, di parlare con il presidente cinese. Argomento principale della potenziale conversazione: la crisi in Afghanistan, che Draghi conta di affrontare (possibilmente con successo) durante il G20 a guida italiana. Una speranza che passa però il coinvolgimento di potenze diverse rispetto agli Stati Uniti. Da settimane lui e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio lo continuano a ripetere: serve parlare con Russia, Cina e India. 

Afghanistan, Draghi cerca Xi Jinping per il G20. Il presidente cinese lo fa attendere

Con Russia e India il dialogo è partito in maniera fluida, come dimostra la telefonata tra Draghi e Vladimir Putin, nonché la più recente visita a Roma del ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov. Con la Cina, invece, la comunicazione appare più difficoltosa. Di Maio ha parlato con l'omologo di Pechino, Wang Yi, ma per ora non c'è stata l'attesa telefonata fra Draghi e Xi che tutti si aspettavano. La telefonata potrebbe finalmente arrivare nei prossimi giorni, ma è in ogni caso significativo il tempo intercorso dalla richiesta, avvenuta appunto circa due settimane fa. Il problema è che senza la Cina è complicato trovare una soluzione sull'Afghanistan. Dopo il ritiro degli Stati Uniti, Pechino è un attore ineludibile da tenere in considerazione sul destino di Kabul, non fosse altro per il canale privilegiato che si è creato tra il governo cinese e i talebani. La mancata partecipazione di Xi potrebbe di fatto annacquare le speranze del G20 di ottenere risultati effettivi.

I rapporti ondivaghi tra Cina e Italia dopo l'arrivo di Draghi

D'altronde, i rapporti tra Italia e Cina appaiono al momento piuttosto ondivaghi. Draghi ha impresso una svolta euroatlantica a Palazzo Chigi, estendendo l'utilizzo del golden power per fermare l'acquisizione di aziende italiane da parte di entità cinesi e ha anche promesso di esaminare con attenzione l'accordo sulla Belt and Road. Cose che non possono aver fatto piacere a Xi.

La posizione del M5s sulla Cina

Interessante ciò che accade all'interno del Movimento Cinque Stelle, da anni ormai identificata come la forza politica italiana più vicina a Pechino. Per il padre fondatore Beppe Grillo non è cambiato nulla: la Cina è sempre vicina, come dimostrano le sue frequenti visite all'ambasciata di Pechino a Roma e la pubblicazione di vari interventi che sposano la linea del governo cinese su una serie di questioni, Xinjiang compreso, spesso attaccando gli Stati Uniti. Ma all'interno del M5s qualcosa è cambiato. Qualche settimana fa c'è stato un acceso dibattito interno sull'opportunità del neo leader Giuseppe Conte ad accompagnare Grillo in ambasciata. Visita poi cancellata dall'ex premier, ufficialmente per altri impegni, ma secondo le cronache anche per un consiglio di Di Maio. Il ministro degli Esteri, l'uomo che ha firmato il memorandum of understanding sulla Belt and Road e che faceva le dirette Facebook per accogliere le mascherine cinesi nella primavera del 2020, ha avuto una svolta atlantista come parte del M5s. Non tutto: Vito Petrocelli, per esempio è uno dei più convinti filo cinesi. Per non parlare del fuoriuscito ma non troppo Di Battista.

E in Europa il M5s appoggia un documento su Taiwan

Sintomatico anche il posizionamento degli eurodeputati pentastellati, i primi a mostrare una certa distanza da quello di Grillo sulla Cina. L'ultimo episodio in tal senso è l'attivismo di Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del Parlamento europeo del M5s, su una bozza di risoluzione approvata mercoledì 1° settembre dalla commissione Affari esteri dell'Europarlamento. Si tratta di un documento che sollecita l'Ue a rafforzare i legami con Taiwan, che la Repubblica Popolare Cinese considera un pezzo del proprio territorio da riunificare. Tra i vari emendamenti presentati al testo iniziale ce n'erano diversi firmati proprio da Castaldo, in cui si sottolineavano il ruolo di Taipei nelle catene di approvvigionamento globali (in particolare in riferimento ai semiconduttori) e le pressioni di Pechino anche sulla fornitura di vaccini da parte di Formosa. Presentato dal nazionalista svedese Charlie Weimers, il documento europeo definisce Taiwan un "partner chiave nell'Indo-Pacifico" e propone di lavorare a un accordo bilaterale sugli investimenti. Significativo che il principale esponente del M5s al parlamento europeo lo sostenga. 

I legami commerciali: boom della moda italiana in Cina

Dal punto di vista commerciale, i rapporti con la Cina sono in ogni caso insopprimibili. Le esportazioni italiane verso Pechono sono in aumento, in particolare nell'ambito della moda. Secondo i dati forniti a Pambianconews da Ice Pechino, e relativi al primo semestre dell’anno (gennaio-giugno 2021), la Cina ha aumentato del 46% le importazioni di articoli di tessile-moda dal mondo, con il made in Italy che ha raggiunto il primo posto sorpassando i prodotti francesi, arrivando a quota 6 miliardi di dollari e conquistando una quota di mercato del 12 per cento.

Droni militari italiani "trasferiti" in Cina

Un mercato immenso e che diverse aziende guardano con desiderio. Ogni tanto lo fa anche chi con dovrebbe, almeno secondo la Guardia di finanza di Pordenone che come riporta l'Agi contesta a un'azienda italiana la violazione della legge sulla movimentazione di materiali di armamento e possibili violazioni della normativa cosiddetta "golden power" che tutela le aziende italiane strategiche. L'azienda in questione produce droni militari, aeromobili e veicoli spaziali. La maggioranza di questa azienda sarebbe stata rilevata, tramite una società offshore, da entità cinesi vicine al governo. Una vicenda particolarmente delicata visto che l'azienda produce sistemi U.A.V. "Unmanned Aerial Vehicle" di tipo militare e certificati per gli standard Nato. Un acquisto che più di ragioni di investimento avrebbe dunque avuto prettamente scopi di acquisizione di know-how tecnologico e militare, con il trasferimento della struttura produttiva nei pressi di Shanghai. Tutto con operazioni per le quali non era stata chiesta l'autorizzazione ai ministeri italiani, secondo quanto sostiene la Finanza.

"La società che rappresentiamo nega con fermezza che nella sua condotta si debbano ravvisare violazioni delle norme a tutela del 'Golden Power' e alla legislazione che regolamenta il trasferimento di informazioni strategiche o di tecnologia al di fuori del territorio nazionale" e "si riserva ogni azione a tutela della propria immagine. Per quanto attiene alla cessione delle quote della società, la stessa è avvenuta in modo trasparente, con riferimento al reale valore dell'azienda e nel rispetto della normativa fiscale". Lo scrivono in una nota gli avvocati Antonio e Bruno Malattia, che assistono l'azienda coinvolta nell'i'nchiesta delle Fiamme Gialle di Pordenone. Nello stesso comunicato i legali esprimono "sconcerto" per la diffusione di notizie da parte della Guardia di Finanza, che anticipano "in maniera impropria valutazioni e conclusioni in merito a un procedimento penale ancora in fase di approfondimento istruttorio".