Esteri

Usa, Cina, Russia, ora Turchia: le oscillazioni della politica estera italiana

di Lorenzo Lamperti

Italia campo di battaglia della sfida tra superpotenze, sfruttata da attori geopoliticamente ambiziosi. Con una politica estera che spesso segue logiche interne

La politica estera è tornata (comparsa?) al centro del dibattito italiano. Strano ma vero, in un paese dove le relazioni internazionali vengono da tempo delegate in toto al corpo diplomatico da una politica spesso incapace, o non interessata, a dare un approccio sistemico (e men che meno strategico). Non è un caso, dunque, che quel dibattito, quando avviene, assuma toni o segua logiche da politica interna più che estera. Eppure, stavolta, gli interessi dei paesi terzi, siano essi alleati tradizionali o partner commerciali, sembrano potere (dovere?) spingere l'Italia a una presa di coscienza più profonda del proprio posizionamento geopolitico

La pandemia da coronavirus ha accelerato dinamiche in atto già da tempo. Il governo gialloverde aveva una duplice direttiva di politica estera, basata su una sorta di tacito accordo tra Movimento Cinque Stelle e Lega. I pentastellati fautori di un avvicinamento alla Cina (per la verità già cominciato coi precedenti governi di centrosinistra, "ma con modalità diverse", sottolineano i democratici), il Carroccio aspirante trait d'union di una convergenza (mai avvenuta) tra gli Stati Uniti trumpiani e la Russia di Vladimir Putin.

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Un matrimonio che ha portato all'adesione dell'Italia alla Belt and Road, mossa che ha prodotto speranze (per ora deluse) commerciali per Roma e un successo politico e simbolico per Pechino (oltre alle irritazioni e ai timori sull'asse euroatlantico), e al caso Savoini, che ha di fatto "bruciato" la Lega di Matteo Salvini agli occhi dei Repubblicani made in Usa. Episodio non colto fino in fondo dal Carroccio, che dopo aver innescato la crisi di Ferragosto sperava di passare all'incasso e avviarsi alla conquista dei "pieni poteri" con tanto di benedizione trumpiana. 

E invece Donald ha individuato in "Giuseppi" Conte una figura di garanzia giusta per rassicurare la vecchia superpotenza d'Occidente sulla (momentanea?) sbandata "commerciale" per l'emergente controparte d'Oriente. Investitura ricambiata subito con l'introduzione della golden power sulle telecomunicazioni durante il primo consiglio dei ministri e un netto ravvedimento euroatlantico per il premier, supportato da ministri "rassicuranti" come Lorenzo Guerini ed Enzo Amendola

Il ripensamento sull'aerospaziale, con la retromarcia su un accordo già fatto con Pechino e uno nuovo sottoscritto con Washington, andava nella direzione del "ritorno all'ovile", ma il voto non dichiarato sulla direzione del WIPO (World Intellectual Property Organization) per il candidato di Singapore sostenuto dagli Usa aveva indispettito la Casa Bianca, che ha deciso di tornare ad alzare la voce dopo che la Via della Seta sanitaria di Pechino ha cominciato a mietere successi sotto il profilo del soft power, quantomeno in Italia, che allo stesso tempo riceveva con grande entusiasmo gli aiuti (e i militari) russi a Pratica di Mare. 

Ed ecco allora, dopo un colpevole ritardo soprattutto sotto il profilo narrativo, gli aiuti statunitensi, materializzatisi con la commessa a Fincantieri per lo sviluppo di nuove fregate destinate alla US Navy. Una mossa dal valore non solo economico, ma anche geopolitico. Il tutto accompagnato dallo strepitio del (centro)destra, che ha deciso di seguire la strada di Trump&Pompeo sulle accuse alla Cina in merito all'origine della pandemia. Accuse che non hanno trovato nessun riscontro e che sembrano funzionali innanzitutto alla campagna elettorale dei Repubblicani in vista delle presidenziali del 3 novembre.

L'opposizione procede compatta su una linea ostile alla Cina, compresa una Lega che, appena uscita dalla maggioranza, ha dato una svolta anti Pechino. L'obiettivo, evidente, è quello di riconquistare Trump battendo la concorrenza interna di Fratelli d'Italia, che non ha la stessa vocazione maggioritaria del Carroccio ma è meno compromessa a livello di relazioni internazionali (basti pensare che in Europa siede insieme ai partiti anti russi di Visegrad). Anche Forza Italia è su posizioni molto critiche nei confronti della Cina, particolare che non ha evitato, nei giorni scorsi, a Mediaset di chiudere un accordo con Huawei per la trasformazione digitale.

Il governo Conte bis, al di là delle dichiarazioni ufficiali che ribadiscono la fedeltà al patto euroatlantico, sembra avere anime diverse. In un'intervista ad Affaritaliani, il sottosegretario Ivan Scalfarotto (Italia Viva) ha parlato di "politica estera oscillante". Il M5s sembra tentato, come apertamente dichiarato dall'outsider Alessandro Di Battista, di utilizzare le relazioni con Pechino in ambito europeo. Senza contare che, visto il calo della Lega nei sondaggi, gli adepti di Beppe Grillo potrebbero essere tentati dal recupero del retaggio euroscettico, già manifestatosi in diverse occasioni durante la crisi pandemica.

Ultima novità, il presunto riavvicinamento alla Turchia dopo il blitz per liberare Silvia Romano in Somalia. Operazione condotta dai servizi italiani con la fondamentale collaborazione dell'intelligence turca. Ankara ha da tempo esteso la sua influenza in Africa ed è un attore con crescenti ambizioni regionali. Erdogan sta provando a sfruttare il coronavirus per accrescere lo status politico della Turchia, anche attraverso un riavvicinamento all'Italia, dopo le frizioni sull'accordo con Tripoli per i confini marittimi. Già, perché ormai Ankara fa la parte del padrone in Africa. E Roma, messa alle strette dalle monarchie arabe che in Libia sostengono Haftar, ha individuato nel riavvicinamento a Erdogan un modo per salvaguardare la propria posizione di difesa del governo di Serraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Ma l'attivismo di Erdogan in Africa non piace agli Stati Uniti, che non vogliono vedersi apparire un attore egemone a cavallo tra il continente nero e il Medio Oriente, quello che invece sembre essere proprio l'obiettivo della Turchia. E dunque la convergenza tra Roma e Ankara, così come il pagamento per la liberazione di un ostaggio (politica da sempre invisa a Washington), potrebbe aver creato un nuovo capitolo nella lista di oscillazioni italiane guardate con qualche preoccupazione oltreoceano. Anche perché il significato, chiaro, è che ormai né Roma né Washington in Africa beccano più palla, con Turchia, Cina e (in subordine) Russia a fare il bello e il cattivo tempo.

La liberazione della cooperante milanese ha scatenato nuove polemiche tra governo e opposizione (anche) sui rapporti con Ankara. Già, perché in materia di politica estera in Italia si fanno molte polemiche ma sembra spesso mancare una visione strategica. Combinazione che fa sì che potenze o attori stranieri possano legittimamente cercare di approfittarne per guadagnare terreno sul campo di battaglia.