Esteri

Coronavirus, l'Europa si scopre più rigida e la Cina punta sull'Italia

di Lorenzo Lamperti

Le parole di Di Battista non arrivano per caso. E intanto Francia e Germania cercano una linea comune su Pechino

Qualcosa si muove, nei rapporti tra Cina ed Europa. Qualcosa si muove, nei rapporti tra Cina e Italia. Come si sottolinea ancora ogni tanto per le vittime, non tanto o non solo "per il coronavirus" ma "con il coronavirus". La pandemia sta funzionando a tutti i livelli come grande acceleratore di tendenze già in atto, con le previsioni sul loro esito "finale" che seguono la collocazione geografica del nuovo focolaio. 

La Via della Seta sanitaria, o diplomazia delle mascherine, ha segnato punti importanti per la Cina, in Italia e non solo. E lo ha fatto soprattutto sotto il profilo del soft power, con un‘opinione pubblica meglio disposta verso Pechino che in passato. Addirittura, secondo un sondaggio Swg molto citato, meglio disposta verso Pechino che verso Washington. Ma sul fronte politico-diplomatico, l’assonanza sinoitaliana non è una primizia assoluta di questi ultimi giorni o settimane.

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Per intenderci, l’intervento pubblicato su Il Fatto Quotidiano (e ribadito su Facebook per rispondere alle critiche giunte da Matteo Salvini) di Alessandro Di Battista, non nasce certo dal nulla. “La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europee tale relazione”, il passaggio più citato di quanto scritto dal “capitan futuro” del Movimento Cinque Stelle. Una relazione, o “rapporto privilegiato” che, secondo Di Battista, “piaccia o non piaccia è anche merito del lavoro di Di Maio”.

Sono arrivate critiche da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega, che da quando è passata all’opposizione ha assunto con maggiore decisione una netta (talvolta cieca) postura anti Cina, anche nel tentativo di riaprire il dialogo con i trumpiani, interrotto dopo il caso Savoini, e non lasciare campo libero agli amici/nemici meloniani. Qualcuno ha alzato un sopracciglio, o entrambi, anche tra gli alleati di governo Pd e Italia Viva. Non è la prima volta. Negli scorsi mesi c’era stato un primo flashpoint sulla vicenda di Hong Kong, con una pattuglia dem attiva a criticare la “linea della non ingerenza” alla pentastellata.

Ora Di Battista ha reso più esplicito quello che sta accadendo almeno dai tempi dell’adesione italiana alla Belt and Road di Pechino: l’allineamento di parte della politica italiana alla Cina. Non solo a livello commerciale, come ripetuto più e più volte sin da allora, ma anche a livello diplomatico e (potenzialmente) geopolitico.

A proposito di dialogo tra Italia e Cina, venerdì 24 aprile l'ex premier Massimo D'Alema partecipa in videoconferenza al Silk Road Think Tank Association Thematic Cloud Forum. Si tratta di un evento organizzato dal Dipartimento internazionale del Partito comunista cinese con il Chongyang Institute for Financial Studies, la Renmin University of China e il China Center for Contemporary Studies. Con lui anche ex leader politici come Essam Sharaf (Egitto), Dominique de Villepin (Francia) e George Papandreou (Grecia). Ognuno farà un intervento di 6 minuti sul tema "Working together to meet global public health security challenges and build the Health Silk Road". 

Come già scritto, l’utilizzo della Cina per rivitalizzare il M5s, riappropriandolo di un euroscetticismo che ammicca ai salviniani delusi, è una strategia che ha trovato terreno fertile con lo spostamento del baricentro pandemico da Oriente a Occidente ma che era già lì pronta a tornare fuori al momento più opportuno.

D’altronde l’avvicinamento a Pechino è cominciato molto più indietro. Giuseppe Conte non è certo stato il primo presidente del consiglio a incontrare Xi Jinping o a recarsi a Pechino. Prima di lui, anche Paolo Gentiloni aveva partecipato da premier al forum sulla Belt and Road (nella sua prima edizione del 2017). E prima ancora Matteo Renzi aveva ricevuto in Sardegna il presidente cinese.

Un percorso, sul quale si è poi accelerato con la firma del memorandum il 23 marzo 2019, comprensibile. Impossibile ignorare la seconda economia mondiale (sarebbe anche consigliabile capirla). Giusto tentare di recuperare il terreno perduto e conquistato nel frattempo dagli altri paesi europei, Francia e Germania in primis. Ma in che modo?

Proprio Parigi e Berlino, negli ultimi giorni, hanno punzecchiato Pechino sull’origine della pandemia. Alla base (anche) il tentativo di Emmanuel Macron e Angela Merkel di mantenere i rapporti con il gigante asiatico sul binario comunitario, saldando il principio della reciprocità e limitando avventurismi bilaterali. Con un pensiero forse rivolto proprio all’Italia, dove l’azione cinese sta dando risultati concreti.

E, verrebbe da dire, anche al Vaticano. Anche in questo caso, la pandemia ha rinsaldato i rapporti bilaterali tra Pechino e Santa Sede. Prima lo scambio di aiuti sanitari, poi il lancio della versione in mandarino de La Civiltà Cattolica. Segnali importanti, con l’accordo sulla nomina dei vescovi che dovrebbe essere rinnovato nei prossimi mesi e la possibile (probabile) futura visita di Papa Francesco. Tanto che in questi giorni si era diffusa la voce di un possibile viaggio di Bergoglio a Wuhan. Voce smentita e definita "falsa" da ambo le parti ma che, a livello simbolico, rappresenterebbe una perfetta chiusura del cerchio.