Esteri

Hillary e "The Donald" nella storia

Gianni Pardo


Immaginiamo di essere storici e di voler giudicare un uomo di Stato del passato. Sicuramente guarderemmo alla sua azione politica. Per esempio all’ostinazione del Grande Re (di Persia) nel conquistare la Grecia o a quella di Napoleone nel conquistare la Russia. Tutte imprese finite malissimo, e cominciate per uno scopo difficile da capire. Viceversa ci leviamo il cappello dinanzi alla furbizia di Temistocle, che riuscì con l’inganno a distruggere la flotta persiana a Salamina. Il giudizio positivo o negativo comunque non dipenderà da sciocchezze o da piccoli aneddoti. E Temistocle la vincerà su Serse benché fosse un opportunista che non si fermava neanche dinanzi al tradimento della patria.

Con la prospettiva dei secoli, appare stupido e quasi inconcepibile chiedersi quali fossero le preferenze sessuali di De Gaulle (se ne aveva) o quelle alcooliche (sicure) di Churchill. Mentre certo non assolve Hitler il fatto che fosse un integerrimo politico, dal punto di vista dell’onestà, e un uomo molto sobrio. Come non giudichiamo male Stalin soltanto per essere stato un appassionato bevitore di vodka. E invece qualche cosa apprezzeremo di Khrushchev, un ubriacone anche lui, benché abbia schiacciato nel sangue la Rivoluzione Ungherese del 1956.
Queste considerazioni entrano in stridente conflitto con le campagne elettorali con cui i politici arrivano al potere. Oggi in America si discute appassionatamente delle e-mail di Hillary Clinton e degli eventuali amorazzi di Donald Trump, e non si vede che dal punto di vista politico questi particolari sono del tutto privi d’importanza: un tempo ben altro bisognava perdonare ai governanti, anche il delitto. E Napoleone rimane grandissimo malgrado l’assassinio del duca d’Enghien. 
Ciò che Trump ha fatto o fa nella sua camera da letto è del tutto indifferente, quand’anche fosse un patetico masochista. Una persona di buon senso comincerebbe col chiedersi quali siano i reali poteri di un Presidente degli Stati Uniti (che sono inferiori a quelli che molta gente immagina); quali siano i veri progetti di un candidato, dal momento che in campagna elettorale si dice qualunque cosa; e soprattutto sarebbe giusto chiedersi come reagirebbe dinanzi ad una situazione imprevista e difficile, come spesso è accaduto ai Presidenti statunitensi. George W.Bush si trovò improvvisamente ad affrontare l’impensabile crisi delle Torri Gemelle  e dovette scegliere fra le possibili reazioni. Fece bene ad invadere l’Afghanistan e ad abbattere Saddam Hussein?  La fine degli attentati in America è stata dovuta ai suoi provvedimenti?
Anche Truman visse qualcosa del genere. Arrivato imprevistamente alla Presidenza per la morte di Roosevelt, si vide cadere sulle spalle la responsabilità di concludere la guerra col Giappone. Doveva ordinare un’invasione che sarebbe costata la vita a centinaia di migliaia di soldati americani e a decine di milioni di giapponesi o dimostrare a Tokyo che non aveva altra strada che la resa? E ciò a rischio di essere additato nei secoli come l’uomo che distrusse, con un’arma inumana, una grande città, anzi due, con tutti i loro abitanti. Giusto discuterne, ma nessuno si porrebbe domande sulla moralità, sulla sessualità o sulla correttezza di quel Presidente. Peraltro onestissimo. E ancora: era intelligente o mediocre? Ha fatto o no la scelta giusta? E l’ha veramente decisa lui o ha soltanto obbedito ad uno staff competente, confermando l’irridente interpretazione del principio per cui “chiunque” può divenire Presidente degli Stati Uniti? Come si vede, la storia non si confonde col gossip o col giudizio dei parrocchiani.
Invece nei Paesi democratici i politici sono eletti o trombati per le ragioni più assurde. Ci si occupa di come si presentano, di come parlano o perfino del loro aspetto: è risaputo che Kennedy batté Nixon perché era più bello, e perché Nixon, essendo stato male, “sudava”. Letteralmente. Gli elettori giudicano accuratamente la moralità personale dei candidati, che invece è del tutto priva d’importanza, quando si tratta di guidare un Paese. E Richard Nixon, che appariva un furbo (Tricky Dicky lo chiamavano) la prima volta perse contro Kennedy, che pure valeva molto meno di lui.
Chi ricorda che Pericle fu accusato di un piccolo peculato e Giulio Cesare, che si rese colpevole di uno grande, non fu nemmeno accusato? La corruzione a Roma era tale che Cicerone poté vantarsi della propria onestà, affermando di avere “rubato poco”. Chi mai ha assolto l’imperatore Francesco Giuseppe, facendo prevalere la sua cristallina onestà, e la sua solerzia di primo funzionario dell’Impero, sull’errore di essere entrato in una guerra che quell’Impero lo distrusse?
Tutto ciò spiega il legittimo senso di stanchezza di fronte all’interminabile campagna elettorale americana. Oggi si discute di sciocchezze e fra pochi giorni si sceglierà in base ai motivi sbagliati. Solo la storia permette di valutare i Presidenti americani, e non lo fa per motivi morali. Mentre la loro elezione magari è dipesa soltanto da bassa politica, maldicenze, retorica, calunnie, vane promesse, demagogia, inganni e – oggi – soprattutto pubblicità. 
Rimane soltanto la flebile speranza che si elegga, magari per il motivo sbagliato, la persona giusta.

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