Esteri
Coronavirus: Cina e Wuhan riaprono. Ma ci sono ancora ostacoli sulla via di Xi
Mentre Wuhan riapre le porte, la Cina prova a ripartire. Ma sulla strada di Pechino ci sono ancora ostacoli da superare
"Non c'è al mondo città uguale, che vi offra tali delizie così che uno si crede in paradiso". Fu così che Marco Polo descrisse Hangzhou, una delle capitali dell'antica Cina. Ed è sempre da Hangzhou che il presidente Xi Jinping prova a rilanciare la nuova Cina dopo la fine della prima ondata del coronavirus. La scelta di Hangzhou, sede di Alibaba, non deriva tanto dalle sue (notevoli) bellezze architettoniche e naturali, quanto dal ruolo giocato dal capoluogo dello Zhejiang e dalla stessa provincia, sia dal punto di vista tecnologico sia dal punto di vista politico. Il tutto in un momento particolarmente complesso, nel quale sul piano globale la Cina sta provando a sfruttare la sua nuova (o meglio "accelerata", come giustamente sottolineato da Simone Pieranni) "Via della Seta sanitaria" per ampliare il proprio soft power, e in cui le sfide interne non mancano.
La visita ad Hangzhou è stata la seconda tappa, dopo quella nella città portuale di Ningbo, del tour di Xi nella provincia dove ha di fatto posto le basi per arrivare alla leadership del Partito Comunista Cinese. È qui che, dopo le esperienze in province più periferiche come Hebei e Fujian, si avvicina sempre di più alla capitale e al cuore del potere politico, cementando la sua fama di nemico dei corrotti. Ed è sempre qui che costruisce il suo "cerchio magico", il gruppo di fedelissimi insieme ai quali dà una nuova dimensione al "sogno cinese".
In occidente si tende spesso a considerare la Cina come un monolite e a presentare la sua vita politica come una sceneggiatura monocorde in cui sono tutti confucianamente in armonia. Eppure le discussioni interne, seppur raramente traspaiano all'esterno, ci sono sempre state. E ci sono ancora, in tempi di pandemia. Allora, come sempre, diventano fondamentali i segnali, l'implicito, il non detto, i messaggi simbolici.
Dopo aver superato le tremende settimane del picco, l'agenda di viaggio di Xi è partita da Wuhan, lo scorso 10 marzo. Andando nell'epicentro dell'epidemia, dopo che qualche giorno prima c'era stata la vice premier Sun Chunlan, significava dire che era arrivato il momento di dichiarare vittoria (almeno per adesso) sul "demone".
Venti giorni più tardi Xi si è presentato (a sopresa) a Ningbo, uno dei fondamentali punti di connessione dell'industria manifatturiera cinese con il resto del globo. Il porto container di Ningbo è il terzo più grande al mondo e il suo sviluppo ha visto impegnato lo stesso Xi ai tempi in cui era il segretario del partito nello Zhejiang. In questo caso, il messaggio è stato quello che l'economia cinese è pronta (o deve) ripartire.
Quella ad Hangzhou ha anche chiarito, se ancora ce ne fosse bisogno, in che modo, vale a dire attraverso (anche) la tecnologia. Una importante città portuale e il regno di Alibaba. Quasi rappresentazioni plastiche dei due programmi che sono l'epicentro (stavolta non epidemico) della visione di Xi: la Belt and Road e Made in China 2025. Estroversione commerciale, diplomatica e geopolitica da un lato. Autarchia, indipendenza e possibilmente leadership tecnologica dall'altro.
Ma in generale il tour dello Zhejiang ha un altro significato, più politico: rispolverare l'immagine di Xi collegandola alle sue origini e riaffermare il ruolo primario dei suoi collaboratori più stretti. Non a caso, come ha sottolineato Nikkei Asian Review, i media di Pechino hanno mostrato le immagini di un discorso di Xi del 2005 tenuto al villaggio di Yucun (alle porte di Hangzhou) in parallelo a quelle della nuova visita. Un nuovo inizio, dove per i fedelissimi c'è sempre più spazio (e bisogno), come dimostra la nomina di Gong Zheng come nuovo sindaco di Shanghai, la cui municipalità si trova appena più a nord di Ningbo.
Questo starebbe anche a significare, secondo alcuni, che Xi avrebbe bisogno di difendersi da eventuali sfide interne al partito. Vero che nel 2018 Xi ha ottenuto la rimozione del vincolo dei due mandati, che era stato introdotto dal "Grande Riformatore" Deng Xiaoping nel 1982. Altrettanto vero che la presidenza della Repubblica Popolare non è concessa per grazia divina ma la si conquista attraverso un duro procedimento interno. D'altronde è stato proprio lo stesso Deng ad affermare: "Non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi". Una frase che spiegava il passaggio da economia pianificata a economia di mercato (con caratteristiche cinesi, ça va sans dire) e nel quale i topi sono i punti di crescita del pil ("arricchirsi è glorioso", per restare a Deng).
La domanda è: i topi sono stati catturati? La risposta, fino a poche settimane fa era certamente "sì". Ora si intravede qualche ostacolo, forse solo temporaneo. Il primo: l'economia. La Banca mondiale sostiene che la crescita della Cina nel 2020 potrebbe passare dal 6,1% previsto al 2,3%. Anche la China International Capital Corporation ha tagliato le stime, in questo caso al 2,6%. Altri report si spingono ancora più in là, prevedendo una forbice fino al +1%. Un rallentamento che, se fosse confermato, non si vedeva dalla fine della Rivoluzione Culturale.
Ci sono poi centinaia di migliaia (460 mila secondo il South China Morning Post) di compagnie che hanno chiuso i battenti nel primo trimestre, con un contestuale calo del 29 per cento delle registrazioni di nuove società rispetto al primo trimestre del 2019. Il tutto mentre i profitti industriali sono calati del 38,3%, come rilevato dall'Ufficio nazionale di statistica, e circa cinque milioni di persone hanno perso il proprio posto di lavoro tra gennaio e febbraio. Disoccupazione che potrebbe colpire soprattutto i migranti interni, aumentando ancora di più l'ancora vasto divario interno tra province più avanzate e quelle più arretrate. In realtà, segnali promettenti sono arrivati dai dati dell'indice Pmi del settore manifatturiero di marzo, ma resta il problema della domanda esterna. Finché non riparte il resto del mondo, anche la Cina non potrà ripartire in maniera completa.
C'è poi un aspetto più politico. Il dibattito interno sulla politica estera di Pechino è sempre aperto. Compreso quello sulla Belt and Road, fiore all'occhiello di Xi, o quantomeno sulla sua applicazione. Segnali in merito ne erano arrivati anche dall'ultimo plenum del partito, al tramonto di ottobre 2019, quando i riferimenti al mastodontico progetto avviato dal presidente e al suo pensiero erano stati molto meno numerosi rispetto all'anno precedente. Interessante anche quanto accaduto sulle teorie del complotto rilanciate dal portavoce del ministero degli Affari esteri, Zhao Lijian, che in un tweet sembrava accreditare l'ipotesi che il coronavirus fosse stato portato a Wuhan da dei militari statunitensi. Teorie smentite in maniera (molto) secca dall'ambasciatore cinese a Washington, Cui Tiankai, altro esponente del "gruppo dello Zhejiang". E la contesa prosegue. Zhao ha dichiarato che la teoria da lui ripresa rispecchia "la rabbia" di diversi cittadini cinesi, mentre Cui ha ribadito che Pechino e Washington dovrebbero mettere da parte razzismo e teorie del complotto e cooperare per uscire dalla crisi.
La narrativa della Nuova Via della Seta sanitaria, o mask diplomacy, è utile al governo cinese su più livelli. Il primo, quello più ovvio e per ora con i risultati probabilmente migliori: quello internazionale. Gli aiuti sanitari, variegato ensemble di export industriale, donazioni filantropiche e regali di privati o comunità connazionali che vivono all'estero, sta di fatto migliorando l'immagine della Cina, soprattutto dove ha trovato sponde locali. È il caso dell'Italia, dove un sondaggio Swg ha dimostrato che, alla domanda su quali alleanze internazionali al di fuori dell'Europa dovrebbe allacciare il governo Conte, il 36% degli intervistati ha risposto proprio "Cina", contro il 30% che ha risposto "Stati Uniti".
Allo stesso tempo è il fattore chiave per il passaggio della Cina da punto originario del Covid-19 a fulcro imprescindibile della cooperazione globale. Shift funzionale a riprendere il discorso da dove era rimasto agli inizi di gennaio, tre mesi (che sembrano tre anni) fa, coi gatti che possono (devono) tornare a catturare i topi. In una parola: stabilità. Imprescindibile fondamento a livello interno, cioè (quasi) tutto quello che conta nel tianxia, "quello che sta sotto il cielo", il mondo, dunque la Cina.