Esteri
Corte dell'Aja, Israele deve cessare il fuoco o auto-difendersi? Commento
La sentenza della Corte dell'Aja su Israele divide gli osservatori: una decisione che limita l'intervento militare su Gaza o legittima l'autodifesa?
Corte dell'Aja, le due interpretazioni della sua pronuncia
La pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia con sede all’Aia sulla denuncia che il Sudafrica le ha presentato dello Stato di Israele è, comunque se ne pensi sul merito, un evento memorabile. Come dice Macaela Frulli, docente di Diritto Internazionale all’Università di Firenze, “E’ la prima volta che Israele è davvero messo davanti all’obbligo di rispettare alcuni principi del diritto internazionale”.
Accettando di essere stata invocata a proposito (cioè di “avere giurisdizione”: cosa che i rappresentanti legali israeliani negavano) e dichiarando la plausibilità dell’evento temuto (che l’esercito israeliano e più in generale la politica militare israeliana stiano dando luogo al genocidio dei palestinesi) la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso quattro importanti ordinanze, che sono altrettante ingiunzioni allo Stato israeliano: astensione da atti genocidari, maggior ingresso di aiuti ai gazawi, punizione degli incitamenti al genocidio, obbligo di presentare entro un mese un rapporto su come lo Stato di Israele abbia attuato queste ordinanze.
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Due aspetti di questa pronuncia hanno colpito positivamente gli osservatori internazionali: la celerità con cui è stata emessa, a conferma dell’urgenza di un intervento di arresto o freno delle azioni militari in atto, e la quasi unanimità con cui le ordinanze sono state adottate. Il timore che i membri del collegio agissero secondo le istruzioni o i desideri dei governi dei paesi che li hanno nominati si è rivelato infondato: non solo Joan Donoghue, la presidente del collegio, è statunitense: anche i giudici della Gran Bretagna, Australia e Germania, i cui governi hanno condiviso con Israele e gli Usa la netta posizione di rigetto della verità dei fatti allegati alla denuncia, hanno concorso alla maggioranza, rendendola vicina all’unanimità.
Come quasi tutte le sentenze, questa pronuncia presenta un innegabile problema interpretativo, perché non accoglie (o non accoglie esplicitamente) la principale richiesta dello Stato appellante, il Sudafrica, che la Corte ingiungesse l’arresto delle operazioni militari (ad esempio, i bombardamenti.) Si sono ormai delineate al riguardo due interpretazioni della pronuncia. Secondo la prima, proposta ad esempio dalla summenzionata giurista Micaela Frulli, docente a Firenze, su Fanpage.it il 26/01/24, e dalla sua collega di Milano Chantal Meloni sul Manifesto di Venerdì 27 Gennaio, la prima ordinanza imporrebbe a Israele “una cessazione delle attività militari o comunque un’enorme limitazione dell’intervento militare a Gaza”. Sarebbe dunque funzionalmente equivalente al cessate il fuoco.
Nella seconda interpretazione, non imponendo il cessate il fuoco la Corte ha riconosciuto che l’intervento militare israeliano a Gaza è in sé legittimo ed in particolare esercitato in auto-difesa. Ma questa inferenza non è dettata dalla pura logica giuridica. Si potrebbe sostenere che con la sua prima ordinanza la Corte abbia volutamente evitato di impegnarsi a qualificare moralmente e politicamente la condotta militare israeliana limitando la sua considerazione ai soli effetti sulla popolazione gazawa soggetta a tale condotta. La prima interpretazione ha una sua coerenza e linearità. Conviene prestare attenzione a come la seconda interpretazione viene formulata da alcune persone di varie professioni, ma tutte dotate di un certa autorevolezza.
Il filosofo statunitense Michael Walzer (Corriere della Sera di Venerdì 27/01/24): A me pare che[Israele] dovrebbe rispettare il verdetto e in un mese descrivere cosa ha fatto per ridurre al minimo le vittime civili…[i membri del collegio] riconoscono che Israele sta combattendo una guerra di autodifesa…Israele sostiene che sta già prevenendo atti di genocidio a Gaza, e adesso dovrà fornire prove che sta attivamente cercando di colpire strutture militari ed evitare per quanto possibile i civili. E può sostenere correttamente che il modo in cui Hamas è immersa nella popolazione rende molto difficile evitare le vittime civili. Credo che la Corte deciderà che non è genocidio. Hamas ha disegnato una guerra che Israele può combattere soltanto uccidendo i civili. Se Israele mirasse all’eliminazione dei palestinesi di Gaza, i morti sarebbero assai di più.
Questa è, con un qualche ammorbidimento, la posizione del governo israeliano. Il filosofo compie la dubbia inferenza già indicata. E anche l’argomento principale si può rovesciare: poiché questo tipo di intervento militare deve avere decine almeno di migliaia di vittime civili, rischia di comportare lo sterminio di una parte significativa dei gazawi e quindi di essere arrestato in quanto genocidario.
Yann Jurovics, studioso di diritto internazionale penale e consulente del Tribunale Penale Internazionale per la Jugoslvia e il Ruanda sulla Stampa del 27/01/24:
Nel caso di Israele non abbiamo ancora una decisione amministrativa che provi l’intento di uccidere i palestinesi. Sono morti oltre ventimila palestinesi sotto le bombe del governo israeliano, è vero, ma se uccidi un civile perché puntavi a un obiettivo militare quello è un “danno collaterale”, se lo hai ucciso di proposito è un crimine di guerra. In questo secondo caso, il giudice deve però giudicare caso per caso e verificare se ciascun bombardamento abbia avuto come obiettivo civili o piuttosto i civili siano rimasti uccisi come “danni collaterali”. In ogni caso stabilire se ci sono stati crimini di guerra non è il mandato attuale della Corte.
Jurovics discute in primo luogo se nella politica militare di Israele verso i suoi sudditi gazawi si possa trovare l’intento genocidario. Non chiarisce che la “decisione amministrativa” di un governo può essere una condizione sufficiente, ma non è detto che sia necessaria. In secondo luogo propone di scomporre le decine di migliaia di morti sotto i bombardamenti in singoli episodi, in cui le bombe sarebbero sempre mirate a colpire degli obiettivi militari, e le vittime civili sarebbero incidentali e non volute. In questo modo si potrebbe arrivare a sterminare un intero popolo a furia di bombe senza “volerlo”.
Questa è anche la principale tesi di Israele. Se anche in qualche caso le vittime civili fossero “volute”, si tratterebbe di crimini di guerra e non di genocidio. Il problema qui è che cosa si intende per “volere”. La decisione di far condurre simili bombardamenti per giorni, mesi, anni, in quanto presa da un’autorità consapevole degli effetti complessivi e ad essi mirante, sarebbe proprio la “decisione amministrativa” di cui parla Jurovics, e configurerebbe l’intento genocidario. La sua attuazione completerebbe il genocidio. Dunque resterebbe confermata la giurisdizione della Corte dell’Aia.
Carla Del Ponte, ex-magistrato e ex procuratrice-capo del Tribunale penale internazionale (Corriere del Ticino 27/01/24)
La Corte …ha ammesso il diritto di Israele di combattere nella Striscia, ma rispettando tutte le misure che sono indicate nell’ordinanza e seguendo le regole della Convenzione sul genocidio… Israele, dopo questa ordinanza, dovrebbe prendere le misure in suo potere per prevenire nei Territori palestinesi la commissione degli atti indicati nell’articolo due della stessa Convenzione. In particolare, com’è scritto nell’ordinanza, ”l’uccisione di componenti del gruppo”. E ancora causare danni fisici o mentali, nonché addirittura ”adottare misure per bloccare le nascite”.
Il guaio è che Israele sostiene di stare già prendendo “tutte le misure in suo potere…” compatibilmente con il perseguimento dei suoi obiettivi militari, che la Del Ponte, come tutti quelli che adottano la seconda interpretazione, ritiene legittimi. Ed è un guaio serio. Supponiamo che io sappia che confuso tra la gente che guarda uno spettacolo ci sia un individuo che minaccia me e la mia famiglia. Posso far saltare con il tritolo il locale in cui gli spettatori sono riuniti? Certo sono 200.
Il principio di proporzionalità del Diritto Internazionale richiede che dall’attentato io non ricavi un beneficio nettamente inferiore alla disintegrazione dei 200 spettatori. Ma per me l’incolumità della mia famiglia vale infinitamente di più della vita degli altri spettatori, e quindi farò esplodere tutto in piena conformità con esso. Questa, semplificata, è la logica di Israele: ci dispiace, ma dobbiamo procedere con i bombardamenti fino a quando avremo estirpato Hamas. Per questa ragione, io credo che sarebbe preferibile la prima interpretazione. C’è modo e modo di difendersi da un nemico. Ammazzare tutti è criminale.