Esteri

Etiopia, Tigray: lo scontro tra governo e Tplf è inasprito dalle sanzioni Usa

di Marilena Dolce

Tigray, storia di un conflitto inasprito dalle recenti sanzioni degli Stati Uniti a Etiopia ed Eritrea: intervista a un'attivista etiope

Ho avuto occasione di parlare di questo con una parlamentare italiana della Ue.

L’Unione Europea, le ho detto, sbaglia a non sostenere Eritrea ed Etiopia, che combattono il terrorismo e partecipano alle operazioni di peacekeeping. Inoltre per l’Africa non esiste più solo l’Europa o l’America. Ci sono anche Russia e Cina. La storia dovrebbe insegnare. Nel 1974 quando il Derg arriva al potere il suo slogan è Etiopia tikdem, Etiopia prima di tutto, uno slogan nazionalista. Nel 1977-’78 però, quando la Somalia attacca l’Etiopia per la regione dell’Ogaden, Menghistu chiede aiuto agli Stati Uniti, che rifiutano. A quel punto si rivolge all’Urss, abbracciando il regime marxista sovietico, anche se lui non era nemmeno socialista…”.

In conclusione, come immagina il futuro prossimo del Tigray?

“In politica non bisogna mai sottovalutare il nemico. In rete ci sono video nei quali Debretsion Ghebremichael, ex governatore del Tigray, cammina con altri, muovendosi tranquillo. Non so se sia un video vero, però il messaggio è chiaro ed è rivolto ai giovani: il Tplf non è morto e combattete. Questo è un messaggio molto pericoloso.

Il Tplf ha anche attuato un’abile strategia di comunicazione…

“Secondo me non è quanto sono stati abili loro, ma cosa non abbiamo fatto noi, Etiopia ed Eritrea.

È vero che il Tplf ha ancora amici in tutti gli ambiti. Per esempio la persona che si è occupata del report di Amnesty International è un Tigrino. Il Tplf, negli anni, ha costruito un costoso castello di lobbying, ancora funzionante. L’Etiopia ha vinto la guerra sul terreno ma non era preparata a quella mediatica.

Pensiamo per esempio alla lingua. L’amarico è una lingua bellissima, però le notizie per la stampa estera dovevamo essere diffuse in inglese. Inoltre le ambasciate dei singoli paesi europei avrebbero dovuto tradurle nelle rispettive lingue. Un lavoro che non è stato fatto ma che si farà”.

 

Marilena Dolce