Esteri
Etiopia, Tigray: lo scontro tra governo e Tplf è inasprito dalle sanzioni Usa
Tigray, storia di un conflitto inasprito dalle recenti sanzioni degli Stati Uniti a Etiopia ed Eritrea: intervista a un'attivista etiope
Meles Zenawi, capo del Tplf, è fin dall’inizio del suo governo (1991-2012) un buon amico dell’America…
“Nel 1990, prima della liberazione di Addis Abeba, Meles controlla già molte zone del paese: Axum, Mekellè, Gondar, il Wallo. A quel punto va negli Stati Uniti, per tranquillizzare il presidente George Bush e dirgli che il Tplf non è più marxista-leninista, ma a favore del mercato libero. In realtà nel Paese tutto è statale. Anzi tutto è del partito.
La cosa pubblica non era dello Stato ma del partito.
Quando nel 2012 Meles muore, cito a memoria, Susan Rice dice nel discorso funebre che era stato un leader, un politico visionario, un grande amico dell’America.
Ora io chiedo, come mai, finché Meles è stato primo ministro, l’Occidente non ha denunciato sparizioni, uccisioni, mancanza di diritti umani?”.
Dopo la risposta dell’esercito federale all’attacco condotto dalle milizie Tplf nel Tigray, la stampa internazionale denuncia le uccisioni definendole crimini contro l’umanità. Si sono pubblicate notizie di massacri ad Axum, sorvolando però su quanto accaduto a Mai Kadra. Ci sono state testimonianze, spacciate per vere, che in seguito si è scoperto non lo fossero. Mentre le efferatezze compiute dal Tplf e denunciate dall’antropologa polacca Natalia Paszkiewicz, non hanno trovato spazio sui media...
“L’accusa all’esercito federale di crimini contro l’umanità non prende in considerazioni alcune importanti circostanze. Per esempio, durante la ritirata, il Tplf distrugge moltissime prigioni. Secondo quanto riferito in Parlamento dal premier Abiy sarebbero usciti circa 30 mila prigionieri. Poi, come ho già detto, la fabbrica tessile Almeda ha prodotto divise militari eritree. Chi le ha indossate? Accusare i soldati eritrei diventa molto facile, parlano la stessa lingua dei Tigrini, se poi indossano le uniformi del loro esercito, è difficile capire se sono eritrei o miliziani del Tplf. Detto questo c’è un rapporto della Human Right Commission Ethiopia molto importante. Loro scrivono che il 28-29 novembre ad Axum sono state uccise quasi cento persone. Tra loro ci sono profughi fuggiti da altre zone del Tigray, persone arrivate per la celebrazione di Santa Maria di Sion, infine anche residenti. È una ricerca che si basa su interviste a religiosi, medici, familiari di 45 vittime, testimoni oculari. Però vorrei aggiungere che, al di là dell’appartenenza etnica, ogni vita è sacra. La vita umana va sempre difesa, per questo è giusto indagare”.
Nei giorni scorsi l'ufficio del procuratore generale dell'Etiopia ha pubblicato le prime osservazione sulle accuse di atrocità commesse dalle forze etiopi ed eritree nella città di Axum. Secondo le indagini della Procura la maggior parte delle vittime erano combattenti del Tplf, rimasti uccisi negli scontri con le truppe federali ed eritree.
“Quello che non è vero” aggiunge Aster “è che la chiesa dell’Arca sia stata distrutta o che siano morte circa 700 persone. Poi c’è un’altra considerazione da fare. Nella zona in quei giorni era in vigore il coprifuoco. I militari avrebbero potuto sparare a chi non lo rispettava, pur essendo una reazione certamente eccessiva.
Di Mai Kadra i giornali occidentali non hanno quasi parlato. Amnesty International nel suo report vi dedica due righe. In quel caso sono morte quasi mille persone. Tutti Amhara. Nelle foto dell’agenzia Getty si vedono le porte delle loro case con la scritta in rosso, Amhara. Questo poco prima dell’attacco”.
Torniamo al 4 novembre e alle atrocità commesse in quei giorni…
“L’esercito federale era di stanza sul confine del Tigray dagli anni di conflitto con l’Eritrea (ndr, 1998-2000). Stando lì per vent’anni era diventato parte della vita e della società Tigrina.
Era l’esercito che aiutava i contadini con il raccolto nei campi, che combatteva l’invasione di locuste, che raccoglieva i soldi per fermare il Covid-19, che costruiva chiese e scuole. Molti di loro hanno sposato donne Tigrine, formando famiglie e sostenendo così l’economia della regione.
Queste sono le persone dell’esercito che il Tplf ha ucciso. Il governo non ha fornito numeri ufficiali, però si dice che ci fossero circa 50 mila soldati di stanza nel Tigray.
Hanno assaltato la Caserma Nord perché sapevano che lì c’erano le armi strategiche. Missili e più di duecento carri armati, come ha detto il premier Abiy Ahmed (ndr, l’80 per cento di materiale bellico del Paese si trovava in quella caserma).
Il loro è stato un colpo di Stato.
Hanno ucciso i soldati. Non li hanno seppelliti, lasciandoli agli animali. Molti militari a quella vista hanno pianto.
Altri sono stati presi in ostaggio come scudi umani. Chi riusciva scappava, nudo e senza scarpe, verso il confine eritreo. Le donne militari sono state violentate. A molte hanno mutilato il seno.
Poi si chiede al governo di sedersi al tavolo delle trattative con i responsabili di tale attacco?
Quale governo l’avrebbe fatto? Il premier Abiy ha dovuto reagire. E fortunatamente l’Eritrea ha accolto molti militari in fuga, salvandoli. Questo è quello che è successo il 4 novembre 2020”.
Ma uccidendo i soldati di stanza nel Tigray il Tplf uccideva gli stessi Tigrini?
“No. Sono stati uccisi solo soldati non Tigrini. È stata un’operazione di pulizia etnica. Un attacco coordinato. Il Tplf aveva circa 250 mila combattenti tra milizie, forze speciali e polizia. All’interno dell’esercito molti ufficiali erano Tigrini. Quindi chi stava fuori si è messo d’accordo con chi era dentro. Infatti hanno attaccato il Comando Nord di notte, uccidendo i soldati mentre dormivano e tagliando le linee telefoniche perché non si potesse chiedere aiuto.
In tutto questo c’era una lista di Tigrini da salvare e di non Tigrini da uccidere”.
Lei ha citato la guerra del 1998-2000 tra Eritrea ed Etiopia, formalmente per il confine con il Tigray. Una condizione che lascia un lungo stato di crisi. L’Etiopia infatti non accetta la nuova definizione dei confini stabilita nel 2002 con l’Accordo di Algeri. Solo nel 2018, quasi vent’anni dopo, la firma ad Asmara tra il presidente Isaias Afwerki e il premier Abiy Ahmed, porterà al disgelo e alla ripresa dei rapporti tra i due paesi. Come mai un’attesa così lunga secondo lei?
“Perché il Tplf non ha mai voluto la pace con l’Eritrea. Volevano che la tensione restasse alta. Non certo per Badme, cittadina non strategica, posta in un territorio arido. L’obiettivo di Meles era quello di mantenere vivo il conflitto. Se lo avesse risolto, si sarebbero aperti canali politici e diplomatici. Una condizione che avrebbe bloccato il progetto del Grande Tigray, che lui non ha mai abbandonato. Con la tensione interna ed esterna sperava di far cadere il presidente Isaias che non avrebbe mai accettato il loro piano”.
Oggi, oltre al buon rapporto tra Eritrea ed Etiopia, ci sono accordi positivi anche con la Somalia. Una condizione che prospetta un Corno d’Africa più forte, anche nei confronti dell’Occidente…
“Nel Corno d’Africa l’Etiopia è il paese più grande e con più popolazione. Insieme con Eritrea e Somalia diventerebbero una potenza importante nella regione e un esempio anche per altri paesi africani. Penso che la loro alleanza possa intimorire l’Occidente.