Esteri

Etiopia, verso la trattativa con i ribelli del Tigrai (Tplf)

di Marilena Dolce

Quale sarà il futuro dell’Etiopia? Una trattativa con il Tplf può essere la soluzione del conflitto?

“Questa guerra non è ancora finita”, dice Aster Carpanelli, intellettuale e attivista etiopica residente in Italia, “Nella regione Afar ci sono trecentomila sfollati che aumentano di giorno in giorno. Molte zone sono ancora occupate dal Tplf. Da lì la gente scappa tutti i giorni per non essere ammazzata. In Welega, regione Oromia, hanno trovato 168 Amhara uccisi, di cui 87 seppelliti in fosse comuni…ormai queste non sono neppure più notizie, ci siamo abituati agli orrori, ai numeri dei morti, come se la vita non avesse più valore. Certo viene da chiedersi se ci sia un governo…”. Nella zona del Nord Wollo, regione Amhara, il Tplf lo scorso agosto ha ucciso 600 persone. Non è noto invece il numero dei feriti perché mancano ospedali e ambulatori che, oltre alle cure, potrebbero fornire dati sui ricoveri.

L’organizzazione Amhara Association of America ha inviato in Etiopia un proprio team per raccogliere dati e testimonianze sulla guerra in corso e sull’assalto delle milizie Tigrine contro i civili Amhara. Il modus operandi è ovunque sempre lo stesso: saccheggi contro le proprietà private, case, negozi, fattorie, devastazioni di edifici pubblici, scuole, ospedali. Molte le testimonianze di atrocità contro i civili e i racconti di stupro, anche di gruppo, contro le donne. Episodi identici a quelli raccolti nei report di Amnesty International e in quello congiunto etiopico e dell’UN. Il rapporto dell’associazione Amhara però identifica i morti mettendo nero su bianco una lunga lista di nomi, patronimici, età, sesso, circostanze della morte o del ferimento.

“I problemi attuali dell’Etiopia”, spiega Aster “sono di natura etnica. Il premier Abiy ha conquistato il nostro cuore parlandoci in modo veemente di Etiopia unita. Abbiamo creduto in lui. Abbiamo creduto che fosse Ethiopianist, che volesse un’Etiopia unita, come tanti di noi. Ma non sembra essere così. Forse perché lui stesso è cresciuto all’interno di un sistema politico etnico. Il suo gruppo, l’Oromo Democratic Party, (ODP) un tempo conosciuto come Oromo Peoples' Democratic Organization, OPDO è differente dal Tplf per posizioni politiche ma non per ideologia etnica. Gli uni sono per l’Oromia, gli altri per il Tigray. Perché l’Etiopia si trova ora in questa situazione? Proprio perché da una parte c’è il Tplf che rappresenta il Tigray e dall’altro l’ODP che rappresenta l’Oromia.

Quella in corso è una lotta interna al Paese. Potrebbero aprirsi due scenari, il primo con una trattativa tra governo e Tplf, il secondo invece iniziando il dialogo sul futuro del Paese, con la formazione di una commissione composta da persone della società civile appartenenti a diversi gruppi etnici”. “In questo momento la situazione è delicata”, continua Aster “finora il governo ha negato l’ipotesi di una trattativa con il Tplf, anche se, sia Debretsion Ghebremichael, politico a capo del Tplf, sia la vice segretaria generale dell’Onu, Amina Mohammed, avevano in realtà confermato tale ipotesi”.

Secondo Aster questa eventualità sarebbe una coltellata per le persone delle regioni Afar a Amhara, che tanto hanno sofferto per le uccisioni delle forze del Tigray. “Peraltro”, spiega Aster “anche i Tigrini si chiederebbero il senso della guerra cui il Tplf li ha costretti. Hanno perso figli, mariti, fratelli, per cosa? Cosa hanno ricevuto in cambio? Non i territori contesi che restano Amhara.

È triste vedere che ancora una volta non sono le popolazioni a scontrarsi ma i partiti. Sono giochi politici”. Il 22 febbraio con un tweet l’Ufficio del Primo Ministro dichiara che “per il momento non ci sono ancora negoziati in corso, ma che non si esclude la possibilità di discussioni” con il Tplf.

Sembrerebbe quindi che il governo etiopico sia aperto al dialogo. Una dichiarazione arrivata a breve distanza da quella del segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che ha affermato che si sono fatti progressi per mettere fine alla guerra civile in Etiopia. Lunedì 21 febbraio il Parlamento etiopico inoltre ha annunciato la formazione di una commissione per il dialogo nazionale composta da undici persone. Tanti invece gli interrogativi aperti dal nuovo corso della politica di Abiy Ahmed.