Esteri
L’Europa si riarma: spesa militare alle stelle, ma la produzione resta il tallone d’Achille
L'Ue vuole rafforzare la propria autonomia nella difesa, ma l’industria europea delle armi fatica a tenere il passo
L’Europa si riarma, spese alle stelle per la difesa. Ma il tallone d'Achille rimane la scarsa produzione
“Se l'Europa deve sopravvivere, deve essere armata”, ha detto il premier polacco Donald Tusk illustrando al Parlamento le priorità del suo semestre alla guida del Consiglio dell’Unione europea. Un monito rilanciato anche da altri attori, dall’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, dal commissario alla Difesa Andrius Kubilius, ma anche dal segretario della Nato Mark Rutte e da diversi leader europei. Tutti concordi non solo su questo punto, ma anche sulla necessità di aumentare la spesa militare e, soprattutto, la produzione bellica continentale.
Guardando i dati, infatti, emerge che quanto sta facendo l’Europa è tanto ma non abbastanza, come confermato dal ceo dell’Agenzia europea di difesa, il ceco Jiří Šediv, nel pubblicare il report annuale sui dati dell’economia bellica. “L'Ue sta facendo passi da gigante negli investimenti per la difesa”, ha detto, ma “una larga parte viene spesa per attrezzature standard provenienti da fuori l'Ue, evidenziando la necessità di rafforzare la base tecnologica e industriale della difesa europea. Acquistare insieme fa risparmiare denaro, mentre sviluppare beni insieme ci rende più indipendenti”.
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE DI ESTERI
Nel 2023 la spesa totale è ammontata a 279 miliardi di euro, in aumento del 10% rispetto all’anno prima, di cui 71,9 miliardi sono stati destinati a investimenti in ricerca e sviluppo. Numeri destinati ad aumentare nel 2024: le previsioni, in attesa dei dati ufficiali, stimano una spesa intorno ai 326 miliardi di euro, di cui il 31% in investimenti.
“Si prevede”, si legge nel Coordinated annual review dell’Eda, “che 24 paesi membri raggiungeranno l'obiettivo concordato di destinare il 20% della propria spesa per la difesa agli investimenti”. Se da un lato questo è positivo, perché permette sul lungo periodo di ristrutturare gli eserciti con mezzi e sistemi all’avanguardia, dall’altro non bisogna essere troppo entusiasti: si tratta, riconosce il report, del tentativo di recuperare il terreno perso negli ultimi anni. Per imprimere una vera svolta, però, è necessario adottare sempre strategie di spesa e di investimento comuni, al fine di non lasciare indietro nessuno e di sviluppare un progetto di lungo periodo.
In ogni caso, se la spesa militare è in crescita per il decimo anno consecutivo – tra l’altro dall’inizio della guerra cresce sempre di più: +26 miliardi di euro nel 2022 sul 2021, +39 nel 2023 e +47 nel 2024 – sul fronte della produzione l’Ue arranca. Stimolando il supporto a Kiev, l’aggressione russa ha svuotato gli arsenali europei, mettendo a nudo l’impreparazione dell’industria bellica continentale. Come sottolineato a febbraio scorso durante la Conferenza di Monaco sulla sicurezza, rispetto al 1992 i paesi europei membri della Nato hanno infatti l’80% in meno di carri armati, il 64% in meno di munizioni da 155 millimetri (quelle per gli obici) e il 48% in meno di lanciarazzi.
Secondo i dati raccolti da Sipri, lo Stockholm international peace research institute, nel 2023 nessuna delle prime dieci aziende produttrici di armi al mondo per incassi ha sede nell’Ue. La prima è al dodicesimo posto ed è la transeuropea Airbus. Seguono, tra le prime venti, solo l’italiana Leonardo (13°) e la francese Thales (16°). Si incassa meno dei competitor americani e cinesi perché si produce meno. Pertanto, si è costretti ad acquistare armamenti da produttori stranieri. Sempre secondo Sipri, nel quinquennio 2019-2023 la maggior parte degli Stati europei ha aumentato l’import di armi e sistemi di sicurezza: limitandoci solo ai paesi maggiori, la Germania ha registrato un +188%, la Francia +112, la Spagna +4,7. L’Italia, invece, si posiziona in controtendenza, poiché ha visto la quota di importazioni ridursi del 37%. In generale, nell’Europa geografica sono solo Italia, Irlanda, Svizzera, Grecia, Albania, Montenegro e Finlandia ad aver registrato una contrazione.
Quasi nessuno, dunque, riesce a far fronte da sé alle proprie esigenze. Nemmeno l’Ue, però, basta a sé stessa, come hanno richiamato i vari Tusk, Rutte e Kubilius, secondo il quale ogni Stato dovrebbe investire tra il 5 e il 6% del proprio pil nella difesa per poter mettersi al passo. Secondo Jiří Šediv, il ceo dell’Eda, quel che serve è però soprattutto un disegno comune: “Nella ricerca sulla difesa e negli investimenti tecnologici l’Europa è indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. Per garantire il futuro dell'Europa, dobbiamo dare priorità all'innovazione e all'unità”.