Esteri

Gaza tra repressione e propaganda: così si dirotta l'attenzione dal genocidio

di M. Alessandra Filippi

Molta stampa ha scatenato una furiosa controffensiva mediatica, nel tentativo di dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica dal genocidio a Gaza

Gaza tra repressione e propaganda: così si dirotta l'attenzione dal genocidio

Di fronte alle raccapriccianti immagini che giungono da Gaza e dalla Cisgiordania, direttamente proporzionali alle azioni, dichiarazioni e silenzi criminali dei paesi che si autodefiniscono democratici hanno visto via via incrinarsi irreparabilmente la narrazione che per decenni hanno propinato ai loro cittadini. Nell’epoca dei social media e della contro informazione che, malgrado le pesanti censure, dilaga a vista d’occhio, molte nazioni “democratiche”, in testa alle quali svettano gli Stati Uniti, preso atto della perdita di controllo sulle masse, soprattutto quelle più giovani e ben informate, come da tradizione sono ricorse alla repressione, facendo scempio dei valori da loro stessi strumentalmente sbandierati. Una repressione distopica che talvolta, involontariamente, ha indossato maschere tragicomiche e grottesche, come nel caso del rabbino arrestato qualche giorno fa a Londra con l’accusa di antisemitismo.

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Da almeno due settimane, dopo mesi trascorsi a incassare sotto la spinta della controinformazione, molta stampa nostrana e internazionale ha scatenato una furiosa controffensiva mediatica, in parte nel tentativo di dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica dal genocidio in corso a Gaza. Ben più nel dettaglio si tratta di una mal celata operazione di propaganda volta a riportare in vetta alle classifiche, sia nei media che fra il popolo dei gentili, il collaudato e sempre verde copione che Israele recita con successo da quando è nato: quello della vittima. Complice l’algoritmo partigiano - vero e proprio “botteghino delle notizie” -, in testa al monopolista motore di ricerca svettano articoli pro -Israele che denunciano l’arrivo (inesistente) di apocalittici tsunami antisemiti; rigurgiti squadristi travestiti da attivismi pro- Palestina; complotti di fondamentalisti islamici che starebbero finanziando le proteste degli studenti; pastori e telepredicatori americani che attraverso la TV e ambiziose tournée per gli stati dell’Unione e del Canada, mettono in guardia i loro milioni di proseliti e finanziatori miliardari dal pericolo che la maledizione di Dio si abbatta su di loro qualora dimentichino che Israele è il prescelto.

Sono ormai oltre mille gli studenti americani arrestati nelle ultime due settimane. Un centinaio i professori – eclatanti e ormai virali le immagini degli arresti della mite ed elegante presidente del dipartimento di filosofia della Emory University, Carolin Fohlin, e quello tragico e brutale della sua collega Noelle McAfee, professoressa di Economia. Rappresentano l’élite delle università nel mondo. È a loro, e soprattutto ai ragazzi della Columbia University che per primi hanno rotto il silenzio e iniziato la protesta, che si deve questa gigantesca ondata di contestazioni e dissenso verso il massacro di Gaza. Vengono per lo più dipinti come facinorosi in rivolta, violenti sostenitori di Hamas, pericolosa espressione della peggiore ondata anti-semita dai tempi di Hitler. Ma l’onda anomala (e imprevista) della protesta contro il genocidio a Gaza, come accadde per la guerra in Vietnam, non solo è portata avanti con decisione e sprezzo delle avversità da ragazzi di tutte le fedi che uniti sono disposti a mettere in gioco tutto pur di battersi per un mondo più giusto. Ma soprattutto sta mettendo a nudo i potenti e le loro inconfessabili trame di potere e di denaro.

A dicembre, un articolo del New York Times che citava le turbolenze tra studenti ed ex studenti dell’Università della Pennsylvania e dell’Università di Harvard, evidenziava che “una nuova classe di donatori” era disposta a giocare una “politica di potere” per esercitare pressioni sui leader universitari di cui erano insoddisfatti. E questo per il solo fatto che questi “benefattori” ritenevano insufficienti le condanne dell’attacco di Hamas contro Israele da parte dei Campus e, più in generale, per non meglio definiti crescenti episodi di antisemitismo. È solo un caso che sia la nuova che la vecchia classe di “benefattori”, formata dai più grandi multimiliardari della finanza americana, faccia tutta capo alla comunità ebraica ashkenazita, americana e israeliana?

Come è noto, gli Usa hanno donato 23 miliardi ad Israele, con la clausola che il 90 per cento dovesse essere utilizzato per acquistare armi dall'industria americana. In tal modo si sottraggono risorse dei contribuenti per girarle all'industria bellica, che poi finanzia le campagne elettorali, che poi acquisisce media e controlla l’informazione. Quella che pomposamente si autodefinisce la migliore delle democrazie, ha alla base un sistema disfunzionale che favorisce specifici gruppi finanziari e lobby di potere. Non può quindi destare sorpresa se l'informazione è faziosamente schierata, sia di fronte al genocidio in corso a Gaza, sia di fronte alle proteste studentesche per le quali vien sventolato lo spauracchio dell’antisemitismo.

L’aspetto più eclatante di questo movimento di protesta, quello che accende un barlume di speranza, è che alla guida vi siano i professori e gli studenti della Ivy League, il gruppo di otto prestigiosi college e università private degli Stati Uniti, noti per la loro eccellenza accademica, la ricca storia e il processo di ammissione selettivo. Istituzioni leggendarie come la Brown University, la Columbia University, la Cornell University, il Dartmouth College, l'Università di Harvard, l'Università della Pennsylvania, l'Università di Princeton e l'Università di Yale. E quel che i ragazzi chiedono, mettendo in gioco la loro carriera universitaria, la loro libertà e il loro futuro, non è altro che di rispondere a tre quesiti fondamentali e condivisibili: la completa trasparenza di tutti gli investimenti finanziari; la cessione di tutte le finanze e società che traggono profitto dall’apartheid israeliano, dal genocidio e dall’occupazione in Palestina. L’amnistia per tutti coloro a ragione del loro manifestare per la liberazione della Palestina hanno perso il lavoro o sono stati espulsi dall’università. Ma il vero grande miracolo di questi ragazzi è quello di aver fatto sì che una bandiera vietata da Israele e che non può sventolare nel suo paese ora sventoli in tutto il mondo.