Esteri

Giuliano da Empoli un futuro vecchio, lo strano libro profetico sulla Russia

Di Giuseppe Vatinno

Quando sedeva con De Benedetti dal barbiere dei Vip

Giuliano da Empoli un futuro vecchio, lo strano libro profetico sulla Russia, l'ultima fatica letteraria dello scrittore

L’occasione per parlare di Giuliano da Empoli (nato nel 1973) è un libro di finta narrativa infarcita di saggistica uscito in Italia a metà agosto, prima c’era stata l’edizione francese che aveva prodotto grandi consumi di tartine imburrate nella Parigi culturale.

Il titolo è furbetto e strizza l’occhio all’attuale situazione internazionale e cioè "Il mago del Cremlino" (Mondadori), "Le mage du Kremlin" (Gallimard) in francese. La copertina accattivante ha Lo stemma dei Romanov: l'aquila bicipite con in petto San Giorgio che uccide il drago. È la storia di un consigliere di Putin e dei suoi intrighi internazionali che non può non ricordare la figura di Dugin/Rasputin. La cosa strana riguarda appunto i tempi, visto che allora Dugin non era certo noto fuori da certi circoli intellettuali, ai limiti dell’esoterismo politico.

Ma veniamo all’autore. Il padre, Antonio da Empoli, fu ferito nl 1986 dall'Unione Comunisti Combattenti (una diramazione delle Brigate Rosse dopo la scissione) in un attentato in via della Farnesina, vicino al ministero degli Esteri, non lontano da dove avvenne il rapimento di Aldo Moro. Da Empoli dirigeva da qualche tempo il Dipartimento Affari economici e sociali di Palazzo Chigi dove c'era il socialista Bettino Craxi. Proprio in quell’ufficio poco noto, istituzionalmente in ombra, si faceva la politica lavorativa italiana. Da lì partivano le direttive governative.


Anche suo nonno Attilio è stato un economista, calabrese, Deputato del Regno d'Italia e anche lui Consigliere del Re. Professore universitario –insegna politica comparata in Francia-, laureato in legge, come gli avi, Giuliano da Empoli nasce invece nel nord della Francia e per uno strano destino anche lui è stato consigliere di un Principe (seppur minore) nelle vesti di Antonio Maccanico, repubblicano.

Nel 1996 azzecca un titolaccio che farà la sua fortuna, "Un grande futuro dietro di noi", un libro scritto a 22 anni che inaugura uno dei filoni più redditizi del frignamento generazionale, quello del fatto che appunto la generazione precedente, egoista, avida e spietata abbia tolto il "futuro" ai discendenti. Un leitmotiv che inaugurò addirittura il poeta latino Orazio e che ha avuto ed ha fama imperitura nei secoli.

La Stampa, in un eccesso di giovanilismo, lo incoronò addirittura "Uomo dell’anno", quando bastava il più semplice epiteto di "ragazzo" e già avanzava.

Il caso da Empoli è emblematico per uno studio sociologico del potere italiano

Un cocktail ben dosato di retorica (le parolone del titolo), vittimismo, internazionalismo, presupponenza, lo lancia nell’orbita culturale radical – chic che lo porterà in futuro ad avere anche un ruolo politico come assessore alla Cultura del Comune di Firenze con Renzi, amministratore delegato alla Marsilio, membro del consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia, Presidente del Gabinetto Vieusseux, sempre a Firenze, membro della Fondazione Italia - Usa e non poteva mancare il think tank dal nome evocativo ed illuministico di Volta.

Sempre naturalmente si è occupato di giornalismo piazzandosi al Corriere della Sera, il Riformista, Il Sole 24 ore e ovviamente la Repubblica, ricettacolo storico del genere. Si è sempre interessato di mobilità sociale (la sua), ha naturalmente attaccato il populismo nel libro precedente “Gli ingegneri del caos”, altro titolo azzeccato che gli ha portato numerose traduzioni internazionali. Tra parentesi lui di populismo se ne intende molto visto che ha lanciato tra i primi quello “generazionale” con cui ha sbaragliato gli avversari.

Insomma Da Empoli si è sistemato in quella zona grigia fatta di chiacchiere, titoloni, tartine imburrate al salmone, attichetti nei centri storici di Roma, Firenze e Parigi, che fa tanto internazionalismo quando c’è da costruire una carriera sul sufflè delle belle parole. Negli anni ’90 dello scorso secolo lo si poteva trovare spesso spiaggiato all’antica barberia "Peppino" in via della Vite, a Roma. In pratica ne aveva fatto il suo ufficio. La bottega artigianale era frequentata anche dall’Ingegner Carlo De Benedetti, data la vicinanza con la sede romana dell’Olivetti in piazza di Spagna.

I giovani progressisti saltellavano su e giù nella via sperando che Giuliano, consigliere di Principi, li notasse e li lanciasse in orbita con qualche saggetto su qualche rivistina radical chic. Il tempo è passato, ma il giovane ragazzo vecchio non ha mollato la presa e continua a sganciare libri come l’ultimo che ha quel titolo stranamente profetico.