Esteri

Guerra Russia Ucraina, doppiopesismo Ue: ok solo ai profughi “en vogue”

di Lapo Mazza Fontana

Intervista a Silvia Cavazzini, attivista per i diritti umani, che si trova al confine polacco-biellorusso e denuncia il doppiopesismo dell' Unione europea

 

Qual è l’azione di prima assistenza che i volontari stanno portando a questi profughi?

“Sul lato bielorusso, con le attiviste di Hope&Humanity Poland sosteniamo emotivamente ed economicamente le famiglie e tutte le persone che si ritrovano bloccate in Bielorussia senza più nulla: cosa che in questo momento ci è praticamente impossibile a causa delle sanzioni economiche e delle limitazioni nei trasferimenti bancari (ricordo che in territorio bielorusso non è consentita la presenza di ONG). Cerchiamo anche delle vie legali per portare queste persone in Europa, come siamo riuscite a fare per il caso della piccola Nza, una bimba di nove mesi con una grave patologia cardiaca che, insieme ai genitori, aveva vissuto l’inferno della foresta: è arrivata in Italia a febbraio e ha potuto sottoporsi all’intervento chirurgico d’emergenza che le ha salvato la vita. Sul lato polacco, diversi gruppi di attivisti portano aiuto umanitario alle persone che, magari dopo giorni nella foresta, riescono a uscire dai fili spinati: vestiti asciutti, sacchi a pelo, cibo, powerbank per i telefoni, l’occorrente per permettere la loro sopravvivenza nella foresta. Tutto ciò però è reso difficile dalla red zone, una zona larga circa tre chilometri che si estende su tutto il confine polacco, da nord a sud, nella quale è vietato l’accesso a chiunque, volontari, organizzazioni umanitarie, giornalisti, politici: solo gli abitanti locali possono circolare liberamente e salvare le persone che stanno morendo nella foresta, in una rete di solidarietà fortissima”.

 

Qual è il rischio della probabile chiusura del campo profughi bielorusso di Bruzgi e delle eventuali conseguenze sul flusso di profughi tra Bielorussia Polonia ed Ucraina?

“La settimana scorsa, alcuni militari sono entrati nel campo di Bruzgi, in Bielorussia, e hanno annunciato a tutte le persone che di lì a breve avrebbero dovuto andarsene: “o tentate la foresta, o andate in Ucraina, o vi deportiamo”. Come ci hanno riportato alcuni migranti che sono già rientrati a Minsk dopo aver fatto un tentativo, è impossibile entrare in Ucraina dalla Bielorussia. La scelta di molti è tentare la via della foresta: per questo sono tornata qui alla frontiera, a Pogorzelce, a pochi metri dalla zona rossa. Il numero di tentativi di passaggio sta aumentando sempre di più, e le persone che provano questo nuovo “game” sono i soggetti più vulnerabili, psicologicamente esausti e fisicamente deboli. Tutti coloro che sono rimasti bloccati in Bielorussia sono impossibilitati a tornare indietro, in patria, o per le condizioni di salute dei figli o per motivi di persecuzione politica o religiosa o perché a casa li attenderebbe il servizio militare obbligatorio (come per tutti i ragazzi in Siria).

Sono tutti profughi che scappano da altre guerre, da dittature, da nazioni con uno stato di violenza generalizzata. Due giorni fa sono stati lanciati dei missili dall’Iran a Erbil, la principale città del Kurdistan iracheno: la stessa notte tre famiglie del Kurdistan iracheno sono state respinte illegalmente dalle guardie di frontiera polacche e si trovano tutt’ora tra i fili spinati, in attesa di una salvezza che può arrivare solo con una decisione politica. L’Unione Europea continua sostenere che non può accettare i migranti strumentalizzati dalla Bielorussia. Nega però, in questo modo, il diritto della persona di chiedere asilo, come se la strumentalizzazione cancellasse il fatto che si tratta di rifugiati.

Noi che proviamo a portare aiuto su questo confine siamo spesso visti come dei criminali e rischiamo di essere accusati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina: se ci spostiamo qualche decina di chilometri più a sud, invece, diventiamo degli eroi. Perché non posso organizzare anche io una macchina e andare a prendere questi rifugiati al confine tra Polonia e Bielorussia, o tra Bosnia e Croazia? Lo chiedo ai politici, a cuore aperto: perché? Dovete spiegarci questa differenza di trattamento tra rifugiati di guerre diverse, perché io non la capisco. Dovremmo pretendere tutti una risposta”.

 

Ed ecco che anche a noi che non siamo fisicamente sul freddo confine orientale del blocco NATO, come è ora Silvia Cavazzini, la risposta appare purtroppo chiara: la guerra in Ucraina sta facendo esplodere le contraddizioni e le malefatte non soltanto del regime totalitario retto monocraticamente da Vladimir Putin, ma anche quelle dei campioni della claudicante democrazia atlantica, che con disinvoltura ormai tragicamente eccessiva hanno vissuto di doppiopesismo endemico, con la scusa di un realismo ormai debordato oltre il cinismo, nella forra ancor più gelida della disumanizzazione, del male banale.

Ce lo possiamo permettere o sarà anche questo un danno liquidato come economicamente sostenibile?

 

 

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