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Esteri
Hezbollah ora è nel panico. Ma si rischia una nuova escalation della guerra

Hezbollah ora è nel panico. Ma si rischia una nuova escalation della guerra

L’ondata di esplosioni che ha colpito i dispositivi di Hezbollah tra il 17 e il 18 settembre ha rappresentato un’importante operazione da parte di Israele per colpire i miliziani sciiti libanesi in casa propria. Le fonti qualificate che hanno parlato ai media internazionali concordano su un fatto: la mano dietro questa operazione è quella dei servizi segreti di Tel Aviv. E ha destato numerose questioni circa l’effettiva modalità con cui il Mossad, di cui su queste colonne abbiamo ricordato la tendenza a operazioni mirate imprevedibili per i suoi nemici, sarebbe riuscito a colpire.

Clemente: "Matrice cyber dell'attacco contro Hezbollah? Non è scontata"

L’esplosione dei cercapersone nella giornata del 17 settembre e dei walkie-talkie e di altri device nella giornata del 18 è stata in un primo momento imputata al possibile uso di un’arma cyber centralizzata o al sabotaggio di batterie a ioni di litio. Ma Michael Clemente, analista del settore cyber, esperto della materia e CEO di Clio Security, invita a non andare a conclusioni affrettate: “La matrice totalmente cyber dell’attacco non è scontata”, dice Clemente a Affaritaliani.it. L’esperto invita a “ragionare su dati materialmente analizzabili” e parte facendo chiarezza sul primo dei due episodi: "Da quello che possiamo analizzare, premettendo che siamo nel campo delle ipotesi, notiamo che nel caso dei cercapersone è da escludere la presenza di batterie al litio”, sottolinea Clemente.

I cerca persone non hanno batterie al litio

“Identificato il modello”, nota Clemente, “abbiamo con i miei collaboratori guardato il manuale d'istruzioni e abbiamo visto che si parla, nel caso dei modelli di cercapersone in questione” di origine taiwanesi, “di una carica tramite batteria tripla A, per cui lo scenario che vede un attacco cyber come detonatore dell'esplosione delle batterie appare assurda. In primo luogo perché non c'erano batterie al litio; in secondo luogo, perché le batterie al litio fanno una fiamma” e non una detonazione improvvisa.

L'ipotesi di device infettati dall'esplosivo in corso di fabbricazione

Clemente prosegue: “Dai video delle esplosioni non si vede alcuna fiamma, ma quello che sembra l’effetto della detonazione di esplosivo militare ad alto potenziale. Faccio un'altra considerazione: chi si assumerebbe il rischio di un'operazione del genere con la possibilità di doversi accertare che le batterie fossero cariche in migliaia di device per farle saltare in contemporanea?”. Domanda che resta aperta e senza risposta. “A maggior ragione”, continua l’esperto, “ciò vale per le pile”, ed è più probabile che “il dispositivo interno che ha fatto saltare i device deve esser stato infettato con dell'esplosivo” nel corso della fabbricazione. Questa ipotesi guadagna terreno pensando che, secondo quanto riportato dal Times of Israel, Hezbollah avrebbe ordinato i nuovi lotti di cercapersone e walkie-talkie in contemporanea per aumentare il livello di sicurezza delle comunicazioni.

La società produttrice dei dispositivi condizionabile dal Mossad?

Clemente aggiunge: “Come l'esplosivo è arrivato dentro i dispositivi non è dato saperlo con certezza, ma è possibile che la società produttrice dei dispositivi fosse raggiungibile o condizionabile dal Mossad”. In questo contesto, l'unica traccia di “un’operazione cyber” secondo Clemente “potrebbe essere nel campo del comando per attivare le esplosioni nei dispositivi infettati. Ma c'è l'alternativa che si trattasse di un timer con un conto alla rovescia. E nulla vieta di pensare che gli israeliani abbiano utilizzato un dispositivo come una nanosim per far ricevere l'ordine di esplosione ai dispositivi infettati”.  Il mistero resta, ma c’è una certezza: l’operazione ha gettato nel panico Hezbollah ma rischia di destabilizzare la regione se sarà il carburante per una nuova escalation di una guerra che a Gaza prosegue, inclemente, da quasi un anno.

 






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