Esteri
L'Italia è l'unico Paese occidentale ad avere una sede diplomatica nella nuova Siria post-Assad
Fonti diplomatiche ad Affari: "Decisione presa mesi fa, poi gli eventi hanno preso il sopravvento. Ora possiamo trarne vantaggi politici facendo da tramite con i Paesi Ue e non solo"
L'Italia è l'unico Paese occidentale ad avere una sede diplomatica nella nuova Siria post-Assad
“Siamo già a Tripoli, siamo già a Bengasi, adesso con la nostra ambasciata a Damasco l'Italia può giocarsi bene le sue carte”: esordisce così, ad Affaritaliani.it, una fonte diplomatica che sta seguendo molto da vicino i vari dossier mediorientali degli ultimi anni. L'Italia, nei mesi scorsi, aveva deciso di riaprire la propria ambasciata in Siria. L'intento era quello di riavvicinarsi al governo di Assad per avviare un percorso di normalizzazione del Paese. “Poi gli eventi hanno preso il sopravvento – spiega la fonte diplomatica – nella fase in cui Bashar Al Assad sembrava prossimo a una riabilitazione internazionale, c'è stata la fulminea avanzata avversaria”. Questo però ha offerto a Roma una chance importante: ritrovarsi a Damasco con una propria ambasciata operativa, potrebbe dare infatti alla diplomazia italiana il ruolo di principale mediatore con la nuova leadership siriana in ambito europeo.
I rapporti dell'Italia con la Siria
Roma e Damasco hanno sempre avuto ottimi rapporti, almeno fino al 2011, anno dell'inizio della guerra civile. Le relazioni hanno tradizionalmente riguardato l'ambito sia economico, con l'Italia costantemente tra i primi Paesi fornitori della Siria, ma anche culturale. Basti pensare che, nel marzo del 2010, l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è recato in visita ufficiale a Damasco. E qui ha elogiato la Siria quale esempio di Paese laico e moderato. La guerra ha poi cambiato tutto e Roma ha sposato la linea di molti altri Paesi europei e occidentali, chiudendo l'ambasciata e scavando un solco quasi indelebile con il governo di Assad. Quest'ultimo è stato infatti ritenuto responsabile della repressione delle prime proteste ed è stato raggiunto, tra le altre cose, dalle sanzioni.
Soltanto nell'agosto di quest'anno si è deciso di riaprire la nostra sede diplomatica: “Nel fare questo – ha dichiarato la fonte diplomatica da noi consultata – la nostra diplomazia ha valutato due fattori: il controllo su gran parte del territorio da parte di Assad e la contestuale opportunità di reintegrare Damasco nella comunità internazionale”.
L'incontro del 10 dicembre
La mossa dell'Italia è stata unica nel panorama europeo. Nessun altro Paese del Vecchio Continente ha mai riaperto sedi diplomatiche a Damasco dal 2011 in poi. Dunque, nel momento dell'arrivo degli anti governativi, Stefano Ravagnan, nominato capo missione della nostra ambasciata in Siria, è risultato essere l'unico diplomatico europeo realmente attivo nella capitale siriana. Il 10 dicembre, a 48 ore dalla cacciata di Assad, si è tenuto un incontro tra funzionari del governo di transizione siriano, guidato dal premier Mohammed Al Bashir, e tutti gli ambasciatori presenti a Damasco. A renderlo noto, nelle scorse ore, sono state le stesse autorità transitorie: “Abbiamo tenuto colloqui con tutti i rappresentanti diplomatici qui presenti – si legge in una nota diramata dal governo provvisorio e trasmessa su Al Jazeera – ringraziamo questi Paesi, il popolo siriano non dimenticherà queste posizioni onorevoli”.
Siria, cosa può fare adesso Roma
I rappresentanti diplomatici in questione sono quelli di Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Bahrein e ovviamente Italia: “Ed è proprio questo il vero punto di vantaggio per la nostra diplomazia – ha ribadito la fonte intervistata – siamo l'unica nazione occidentale a Damasco, possiamo fare da tramite per gli altri Paesi Ue e non solo. Da una potenziale difficoltà, potrebbero sorgere vantaggi politici per noi”. Del resto, come fa notare la stessa fonte, se la situazione in Siria dovesse stabilizzarsi, il peso delle relazioni economiche pre belliche potrebbero dare all'Italia un ruolo anche nella ricostruzione: “La Siria è ridotta in macerie da 13 anni di conflitto – dichiara ancora il diplomatico – come in altre occasioni, il nostro know how può risultare utile per aiutare un Paese a risollevarsi.
Le incognite: Erdogan lascerà spazio ad altri interlocutori?
Ma non mancano le incognite. In primis, occorre vedere se per davvero la Siria troverà da subito una quadra istituzionale: “Non dimentichiamoci che le fazioni che hanno cacciato Assad, a partire da Hts – sostiene la fonte – sono ancora nelle liste dei gruppi terroristici in diversi Paesi, difficile dire adesso se la Siria assorbirà in fretta il passaggio di potere e come si comporteranno questi gruppi”. In secondo luogo, occorre tenere conto del ruolo che rivestirà il Paese che più di tutti ha guadagnato dalla fine di Assad. Il riferimento è alla Turchia, con Erdogan che vorrà capitalizzare i suoi rapporti pluriennali con le fazioni islamiste giunte fino a Damasco: “E sappiamo – conclude il diplomatico – che il presidente turco non è un personaggio abituato a lasciare spazio ad altri interlocutori”.